30/03/12

FAST MUSIC AGAINST THE FAST TRAIN NIGHT - LUDD, SMASHROOMS, CxIxDx, NIET! + guest(s) - 7 Aprile Cremona

Ancora una spammata per un concerto, anche questa volta organizzato da della brutta gente emiliana (ma diversi da quelli dell'altra volta) in quel del Kavarna, a Cremona (che no, non è Emilia, è nella fottutissima Lombardia).

Ancora una spammata per un benefit, perché è di questo che si tratta.

Questa volta i beneficiari saranno i No TAV colpiti dalla repressione il 26 gennaio.


Il 26 gennaio, in tutta Italia, le forze del disordine hanno attuato l'ennesima azione repressiva nei confronti del movimento No TAV, hanno infatti perquisito le abitazioni, denunciato e arrestato varie persone che parteciparono alle mobilitazioni No TAV in Val di Susa il 3 luglio. Siamo finalmente riusciti ad organizzare questa serata benefit per i compagni colpiti dalla repressione, un po' in ritardo ma comunque c'è sempre bisogno.


Abbiamo deciso di contrapporre al treno ad alta velocità la musica ad alta velocità, che quella sì che ci piace.


H 18:00 chiacchierata sulla lotta No TAV, cos'è, cos'è stata, com'è, cosa rappresenta e come portarla fuori dalla Valle.
A seguire cena vegan con The Arabian Jamil e la sua Cricca.
Poi concerti con:


NIET! (chuggaviolencecore da Napoli Modena Parma con tanto amore e molta molestia, il grande ritorno)


CxIxDx (volticoperti-core dalla Bologna male, non così veloci, ma tanto belli, grande promessa)


SMASHROOMS (Mosconi-core da Brescia, fanno pure la cover degli Uniform Choice, cosa vuoi di più?)
www.facebook.com/smashrooms
http://smashrooms.bandcamp.com/


LUDD (anarchore da Rovereto con esperienza e sapienza)


+ eventuali guest(s)


NO NAZI NO SBIRRI NO CAGACAZZI NO INFAMI NO SESSISTI


Lascia a casa il cane e l'apatia.
Porta la voglia di vivere e la distro.
(magari però, per la distro, avvisa prima)


PARTECIPA E DIFFONDI

daje che è importante chi organizza son dei rompicoglioni ma dei bravi ragazzi chi suona anche ed è tutto interessante.

E LA CAUSA È FOTTUTAMENTE BUONA.

Chi non viene, poi, è una brutta persona.

14/03/12

La Canaglia a Golfech - Vis à Vis - Terza Parte


Segue da qui

’81, ’82, ’83… gli anni si susseguono, e anche le azioni. La loro capillarità e l’eterogeneità degli attacchi fa pensare a tanta gente diversa che si muove con mezzi diversi. 

Nella cronologia ci sono principalmente le azioni della mouvance, ma non solo. Se ci sono una sessantina di persone che decidono di incontrarsi, ce ne sono sempre altre trenta, quaranta o più che fanno le cose per i fatti loro. A volte venivamo a sapere che era stato fatto saltare o era andato a fuoco un trasformatore EDF, era la mouvance, ma chi? Chi se ne frega. C’erano alcuni che non avevano mai fatto cose di questo tipo e a un certo punto hanno cominciato a farle con il materiale che avevano, non era un’esclusiva. Insomma c’era un consenso generale per le azioni, perché c’era in realtà molta gente che le faceva. Possiamo dire che, in linea generale, c’era una mouvance, ma non tutto quello che succedeva era dovuto a essa.
Comunque con la gente c’era una specie di complicità e su questo posso raccontare qualche aneddoto, a proposito di una ditta che partecipava ai lavori della centrale. Un bel giorno, spontaneamente, alcune persone scoprirono che questa ditta era della zona, che il padrone era di lì e spuntarono fuori ovviamente tutti i dossier. Qualcuno dopo è andato a verificare, e questo per dire che non sono solo poche persone a fare tutto, ce ne sono un centinaio che partecipano. In più girava praticamente la lista di tutto il personale che lavorava alla centrale. Com’era possibile questo? Non certo perché qualcuno l’aveva fatta uscire, ma semplicemente perché l’ufficio della centrale buttava tutta la spazzatura in una discarica che si trovava vicino a una casa di un vecchio, che a sua volta la raccoglieva e la portava a chi poi sapeva cosa farsene. Per dirti che c’erano tanti aspetti, molte azioni con obiettivi ben chiari, e c’era una pressione a tutti i livelli con una partecipazione diffusa. Anche se le azioni più grosse avevano una specie di centralizzazione verso la mouvance, in generale le cose funzionavano in modo semplice e diffuso. Come dicevo, c’era la cosiddetta mouvance, ma c’era anche dell’altra gente, che magari non conoscevamo direttamente o che non voleva far parte di quei gruppi specifici, che faceva le azioni. Non abbiamo raggruppato tutti, noi eravamo solo uno dei gruppi di questo movimento allargato.
Poi c’è da dire che durante tutta la campagna di sabotaggi non c’è stato nessun arresto. A ogni azione seguivano delle perquisizioni, e magari qualcuno veniva fermato per un paio di giorni. Le perquisizioni e i fermi per noi erano sistematici, ma gli sbirri comunque non hanno mai potuto arrestare nessuno. È vero, in Toulouse la canaille, si parla dell’arresto di due compagni, in seguito al ritrovamento di un metro di miccia durante una perquisizione. Anche se all’epoca non era vietato comprarla, è stato però sufficiente per incolparli di detenzione di esplosivi e sono stati arrestati, ma è stato a margine della lotta perché questa gente non faceva parte della mouvance impegnata a Golfech, ma di altri gruppi che facevano altre cose. E poi questa storia ha portato all’arresto di altre persone, che in solidarietà hanno provato a bruciare una chiesa e si sono fatti prendere sotto l’altare con del materiale infiammabile. In seguito ci sono state manifestazioni collettive di solidarietà: ne ricordo per esempio una all’interno della cattedrale di Tolosa, la stessa che doveva essere bruciata, dove un compagno un po’ situazionista travestito da Papa ha fatto una messinscena del tipo battezzare la gente urlando: “Vi dono il mio sangue”… e i fedeli se la sono data a gambe! Il Papa, al sopraggiungere degli sbirri, si è dileguato, coperto da un gruppo di compagni. Le azioni di solito venivano fatte collettivamente anche per garantire una certa protezione, perché finiva spesso a cazzotti… Ma ti voglio raccontare meglio la storia dei compagni arrestati per la miccia, così per farti capire qual era il contesto in cui si muoveva la mouvance di Tolosa. Dopo qualche anno dall’elezione di Mitterrand, cominciano a prendere piede le idee del Front National, l’estrema destra per intenderci. Quello che succede è che il Front National comincia a fare dei meeting molto importanti in giro per tutta la Francia: a Tolosa, per esempio, ai raduni partecipavano anche mille persone. E c’erano alcuni gruppi che facevano delle azioni contro il Front, non intendo azioni contro i suoi militanti, ma, per esempio, quando questi chiedevano una sala per fare un meeting, saltava in aria la centralina dell’elettricità o la sala stessa. Tutti si aspettavano che a Tolosa il Front non sarebbe riuscito a esprimersi. Non a esprimersi, non è questione di far esprimere i fascisti. Sono delle merde. Comunque la gente se lo aspettava, la sala salta, la centralina salta e per un caso, per una serie di circostanze, ci sono dei compagni arrestati. Nascono dei comitati di sostegno, vengono fatte manifestazioni, incontri, concerti con migliaia di persone che partecipavano per sostenere i compagni. Malgrado siano stati arrestati con del materiale tipo qualche metro di miccia, siamo riusciti a far uscire i compagni il più velocemente possibile, anche se le prove erano a loro sfavore. Questo per spiegare come questo movimento diffuso attaccasse anche altri obiettivi. Poi ci sono stati i fatti della Nuova Caledonia, dove dei Canachi avevano rapito degli sbirri per rivendicare cose loro, e siccome era periodo elettorale hanno dato l’autorizzazione ai militari e ai gendarmi di sparare. Ci sono stati più di venti Canachi assassinati nell’assalto per liberare gli sbirri rapiti, anche se nessuno di questi era stato ucciso. Dopo quest’assassinio di massa ci sono state delle azioni contro le caserme in tutta la Francia e anche nella regione di Tolosa. Qui, in fin dei conti, dal momento che c’era una pratica illegalista, attraverso una rete di contatti ci si poteva incontrare mantenendo ognuno la propria autonomia, i propri obiettivi e le proprie pratiche. Ma c’era una solidarietà generale di fronte alla repressione: ogni volta che dei compagni venivano arrestati c’erano delle risposte.
Beh, tutto questo succedeva durante la lotta di Golfech. 

Nel novembre ’83 spunta questo giornale molto speciale, un numero unico clandestino che affianca alle detonazioni notturne le frecce dell’analisi. Mi racconti di Toulouse la canaille? 

Toulouse la canaille è uscito quando la lotta di Golfech cominciava un po’ a indebolirsi, e nasce dal bisogno di esprimersi. Molti dei gruppi di affinità che costituivano questa mouvance, hanno sentito il bisogno di spiegare il perché delle azioni. A un certo punto alcuni individui, più o meno rappresentativi di tutti questi gruppi di affinità, hanno messo bianco su nero quello che pensavano, con una riflessione sul perché veniva attaccata Golfech, quali erano le motivazioni e che significato politico davano al loro intervento. La cosa migliore è leggere i testi [in appendice]. È da molto che non li leggo… Nacque così: era già qualche anno che molte persone lottavano insieme contro Golfech, si conoscevano, ogni tanto andavano a mangiare a casa di uno o dell’altro, come sempre. Alcune volte per scegliere un’azione era sufficiente che, con molta ironia, qualcuno ponesse una questione e a poco a poco ci si interessava, e si recuperavano le cose che servivano, quando era possibile. Toulouse la canaille è uscito nello stesso modo con cui si facevano le azioni: a un certo punto qualcuno dice: “perché questa volta non facciamo, invece dei soliti piccoli testi da volantino, una rivista attraverso la quale possiamo comunicare qualcosa in più?”. Era una bella idea, però è ovvio che era illegale, si sarebbero espressi i gruppi che avevano fatto delle azioni. Questo non è troppo legale… comunque c’erano delle buone possibilità di farcela tranquillamente. Quello che è più interessante, è com’è stato fatto: tutti avevano qualche cosa da dire, si è creato un piccolo gruppo per raccogliere i testi degli uni e degli altri, e ciascuno ha messo su carta quello che pensava. I testi erano discussi da ciascun gruppo e alla fine è stato raggiunto un accordo comune. Il resto è stato un accordo tecnico: prendere la carta, andare a stamparlo e dopo, ovviamente, distribuirlo. Credo che ne siano state stampate più o meno 1500 copie, senza indirizzo, ovviamente, perché era un giornale clandestino, ed è stato distribuito subito, in un paio di giorni. Non sarebbe stato stampato un’altra volta: anche se le fotocopiatrici all’epoca erano di pessima qualità, si potevano fare pur sempre delle copie. 

In quegli anni, se da un lato s’intensificano gli attacchi diretti, dall’altro scemano gradualmente le manifestazioni in piazza. Pare s’insinui un clima di rassegnazione generale. La gente non ci crede più? 

Le grandi manifestazioni di massa avevano dato a molti, in un primo momento, la speranza di poter vincere la lotta, cosa che in seguito, con l’inasprirsi della repressione, si è dimostrata alquanto difficile. I pestaggi durante le manifestazioni, gli arresti e le aggressioni degli sbirri alla fine del corteo erano fatti apposta per far paura. E l’effetto di questa paura è stato l’allontanamento della gente. Non a caso grandi manifestazioni non ce ne sono più state, dopo le violenze nei cortei: la repressione è stata molto dura, e non specificatamente contro di noi. Si sono accaniti soprattutto, e questo è da tenere in conto, contro le persone anziane che vivevano attorno alla centrale, contro quelli che mantenevano in vita le associazioni antinucleari e i comitati. C’era il chiaro obiettivo di attaccare queste persone per annientarle, fisicamente. Sto parlando della polizia, avevano chiaramente quest’intenzione, e oggi lo vediamo sempre più spesso, gli sbirri picchiano duramente durante le manifestazioni per far in modo che la gente non ci torni più. Anzi a Golfech ormai gli sbirri ci attaccavano già mentre stava solo cominciando il concentramento, e la gente aveva paura anche a tornare alla macchina e andare a casa, perché li seguivano, spaccavano le macchine e menavano chiunque. È la tattica di fomentare la paura e la gente, se pensa che in una manifestazione ci potranno essere violenze da parte degli sbirri, non ci va. È una politica attuata deliberatamente, che oggi ritroviamo sempre più spesso, basta vedere cos’è successo in Italia, a Genova, ma anche qui in Francia è uguale. Questa politica mira a rompere fisicamente la faccia ai manifestanti affinché non scendano più in piazza, perché sanno bene che i più determinati ritorneranno ma che la maggior parte non ha voglia di farsi spaccare la faccia due volte. È un loro obiettivo politico, che va sottolineato. A quel tempo questa tattica di violenza ha aiutato ad abbassare la combattività e noi ce ne siamo resi conto.
Ma se vogliamo analizzare a fondo i motivi di questo allontanamento dobbiamo aggiungere dell’altro. A partire dal 1980 ha cominciato a prendere piede una specie di “politica dell’ecologia” e tutti i gruppi ecologisti che erano dentro i comitati antinucleari si sono orientati verso la politica. Esisteva già all’epoca l’equivalente del partito dei verdi, creato da un ecologista di destra che è stato fatto ministro da Mitterrand. È vero, la lotta pian piano andava spegnendosi, ma questa svolta all’interno dei comitati antinucleari ha contribuito a demoralizzare ulteriormente la gente e a spegnere la speranza di vincere. In ultima analisi la repressione ha influito molto, ma la gente si è demoralizzata più che altro perché non credeva più di poter vincere la lotta. Perché se avessero creduto di vincere se ne sarebbero fregati della repressione. Accetti la repressione quando non credi alla lotta che stai facendo, e questo vale soprattutto per la maggioranza della gente. Per noi è più difficile, se hai una coscienza di classe non vedi solamente la centrale, sai che la lotta di classe continua in altri ambiti. Tanti hanno cominciato a lottare contro Golfech e si sono fermati lì, ma molti altri invece hanno continuato. 

Quindi a un certo punto anche la mouvance s’interroga su di sé, in rapporto a un movimento di massa che non c’è più, alla lotta specifica che sta portando avanti, ai camini della centrale che s’innalzano giorno dopo giorno? 

Le azioni sono cominciate prima che fosse stato accordato il permesso di costruire a Golfech, prima che il governo socialista si fosse espresso a favore e che cominciassero effettivamente i lavori di costruzione, quindi prima che Golfech ci apparisse irreversibile. Fino a quel momento si sono intensificate le azioni dirette di sabotaggio contro EDF, le ditte e il materiale che andava verso la centrale. Tutto questo ha avuto una dinamica nutrita di molte illusioni, perché credevamo davvero di poter vincere. Non ne eravamo certi, ma ci credevamo. Passano gli anni, il 1982, il 1983, il 1984, e ci rendiamo conto che stavamo andando verso un punto di non ritorno in rapporto alla costruzione della centrale. Vuol dire che la centrale l’avrebbero lasciata costruire, con il beneplacito di chi si diceva contro come i partiti traditori, compresa l’estrema sinistra.
Credevamo anche che l’opposizione della gente, l’opposizione di massa che vedevamo crescere nelle grandi manifestazioni, sarebbe continuata. Invece, di fronte alla repressione e a certe provocazioni la gente veniva sempre meno alle manifestazioni e alle azioni di massa. Poi, in seguito al tradimento da parte dei politici socialisti, cominciò a tirare un’aria di scoraggiamento generale; perché la gente, si sa, quando viene tradita all’inizio si arrabbia, ma poi conclude che non vale più la pena di lottare in una situazione così. E d’altra parte, alla fine, nemmeno noi avremmo potuto continuare una lotta che per noi stessi era già persa. Anche se sapevamo che la società ci avrebbe imposto il nucleare e la centrale di Golfech, non volevamo diventare un gruppo di specialisti che avrebbe fatto per anni le stesse cose, perché, alla fine, se fossimo diventati specialisti di qualcosa, saremmo andati contro quelle stesse idee che ci avevano mosso in partenza.
Dal momento in cui non c’era più un movimento di massa, ci siamo detti che non valeva la pena che ci fosse un gruppo specifico contro Golfech. Non avrebbe avuto senso. Quando c’era un’opposizione di massa, che si muoveva con tutti i mezzi democratici, con manifestazioni anche violente, la mouvance aveva qualcosa da dire e faceva le azioni per rinforzare questo tipo di attività di massa con azioni più mirate, scelte. Non voglio dire che erano azioni di massa. Voglio dire c’era una parte del movimento di massa che aveva scelto di opporsi al nucleare con altri mezzi. Ma a partire dal presupposto che esisteva un movimento di massa. Non si poteva continuare con le stesse azioni, come si faceva prima in modo massiccio, per il semplice motivo che saremmo diventati un gruppo di specialisti. Questo ideologicamente è contro le nostre idee, noi non eravamo un gruppo armato specifico di tale frazione del movimento, mettiamo, antinucleare. Questo non lo saremo mai. E quando spingi molto in una lotta, come abbiamo fatto noi, a un certo punto te ne rendi conto: se avessimo continuato così saremmo diventati degli specialisti degli attacchi antinucleari contro Golfech. E la maggior parte di noi sarebbe finita in galera, perché a un certo punto ci saremmo scontrati inevitabilmente con la repressione. 

Però forme di protesta e alcune azioni contro Golfech sono continuate fino agli anni Novanta. 

I sabotaggi sono continuati, se vogliamo, fino alla fine degli anni Ottanta, con qualche traliccio che ogni tanto cadeva in risposta al nucleare o alle linee ad alta tensione. Ma non più con il solo obiettivo di fermare Golfech. Noi abbiamo continuato con la lotta che avevamo sempre portato avanti, contro il nucleare ma anche contro la società militarizzata. In generale possiamo parlare di una lotta viva e forte fino al 1983. Era chiaro a tutti che non valeva più la pena andare avanti in maniera mirata su Golfech. È vero che dopo c’è stata qualche azione contro il nucleare, ma non era più specificamente contro Golfech ma contro il nucleare in generale. Vuol dire che saltava ogni tanto qualche traliccio, come prima del collaudo della centrale, come l’attacco alla diga di Malause, o come gli attacchi alle linee ad alta tensione nella valle del Louron. Ogni anno c’erano quattro o cinque azioni più specificamente antinucleari, ma nell’insieme delle azioni che venivano fatte contro la società in generale. In pratica si continuò ad attaccare il nucleare come si faceva anche prima di questa lotta specifica. Dal momento che stavano costruendo una centrale proprio dove vivevamo, Golfech divenne l’obiettivo principale. Se la centrale fosse stata a mille chilometri, avremmo fatto delle azioni in sostegno. Visto che era da noi, si facevano le azioni contro Golfech, e allo stesso tempo contro il nucleare. Quando a Golfech non abbiamo più visto prospettive di lotta efficaci, o azioni di massa, non abbiamo più continuato in questo senso, siamo tornati a occuparci di quello che facevamo prima: a lottare con tutti i mezzi contro la società capitalista, contro lo Stato. Come del resto si faceva anche durante la lotta contro Golfech, quando venivano attaccati gli sbirri e le caserme contro la repressione, nelle azioni contro le chiese, i padroni e i fascisti del Front National, erano tutte azioni che non c’entravano niente con la centrale.
In pratica eravamo quello che viene chiamato un movimento diffuso, e in particolare nella regione di Tolosa c’era una buona concentrazione di piccoli gruppi di affinità. Per me la lotta ha avuto aspetti positivi e negativi, e bisogna ammettere che tutti ne sono usciti un po’ logori per le tensioni che si sono create tra le persone. Che si voglia o no, anche se la repressione non si è abbattuta su di noi, ci abbiamo lasciato parecchie piume. Di certo questa specie di coordinamento fra i gruppi d’affinità è riuscito, ci sono stati momenti di lotta molto belli e intensi, ma è stato a volte faticoso relazionarsi. E non per questione di obiettivi: le difficoltà e i problemi, il più delle volte scatenati da motivi personali, ci sono sempre quando diversi individui si mettono in gioco per fare qualcosa. Inoltre la lotta spingeva molto le persone, le spronava, ma poi… che ne è stato dei tanti che partecipavano alle azioni? Oggi la maggior parte non fa molto. Non voglio dire che non fanno niente, dico non molto. Li ritroviamo poco nelle manifestazioni e nelle cose collettive, ognuno si è fermato nel proprio angolino, ognuno con i suoi lati positivi e negativi.
Il movimento di massa, dal canto suo, dopo l’83 rifluisce in delle lotte, come dire, più di sopravvivenza, su sicurezza, salute, ormai appieno dentro la gestione di questa cazzo di centrale. È diventata a tutti gli effetti una lotta democratica, per creare una commissione a tutela della salute, per smascherare gli imbrogli di EDF, ecc. Noi abbiamo criticato questa svolta, perché alla fine non ne esci più, fra EDF e lo Stato che continuano a raccontartela… è, in effetti, roba da politici. La lotta a Golfech continua anche adesso, se vogliamo, ma nel solo modo che ti permette la via democratica: creare un comitato per controllare la radioattività del fiume, il livello di salute, denunciare quando ci sono degli incidenti, insomma ci si limita a gestire la catastrofe futura, se ci sarà, ma spero di no. Se vogliamo, possiamo dire che la lotta è continuata, ci sono state manifestazioni anche prima della messa in funzione della centrale, con un migliaio di persone, e contro il collaudo della centrale e via dicendo, ma questo è quello che, più o meno, ti permette il gioco democratico. Inoltre alcune persone sono entrate nel sito e sono rimaste cinque giorni attaccate alla torre¹, altri si sono incatenati ai camion che portavano dei pezzi della centrale. Ci sono sempre state e ci saranno sempre delle azioni di questo tipo. Talvolta hanno più ritorno mediatico, come quelle di Greenpeace, che è specializzata in azioni mediatiche. Ma questo è quello che ti permette la società, la democrazia. Fintanto che tu non attacchi i loro interessi materiali, ti permetteranno sempre di fare dei comitati per fare pressione affinché non succedano degli incidenti. Non mi disturba questo tipo di lotta, ma il punto è che oggi è ben gestita dai partiti politici, soprattutto da quelli ecologisti, che aspirano soltanto che la gente usi la scheda elettorale come un certificato di morte in un’urna qualsiasi. Tutte queste associazioni, a cui aderiscono molte persone che pure sono contro lo Stato e che sanno bene che le elezioni non servono a niente, purtroppo oggi sono ben controllate dai gruppi ecologisti che partecipano alle elezioni. 

E questo è tutto, si dissero allontanandosi.

Ma la traccia di un sentiero che dal passato s’inoltra nel fitto dei nostri sogni, sbuca inevitabilmente nella radura delle possibilità del presente.



Note
1: Il 10 giugno 1989, durante un incontro di riflessione sul nucleare, prende il via l’operazione “Stop Golfech”. Cinque membri del Collettivo Pace e del VSDNG si arrampicano su una torre della centrale, srotolano degli striscioni enormi che riportano la scritta “STOP”, e vi rimangono per cinque giorni. Le loro rivendicazioni erano: promuovere un referendum e un dibattito televisivo per uscire dal nucleare; l’instaurazione da parte del governo francese di un piano energetico e politico che rendesse concreta questa uscita; la chiusura delle centrali di Golfech e Malville.

La Canaglia a Golfech - Vis à Vis - Seconda Parte



Segue da qui

Nel ’79 tutto questo stava appena cominciando: nel frattempo, però, succedevano altre cose interessanti… 

Come no! Nel novembre 1979 fu creata una radio che si chiamava appunto Radio Golfech. Essa fu un mezzo per sensibilizzare la gente sulla lotta ed era molto seguita nella regione da tutti, non solamente dagli antinuclearisti. La prima emissione fu durante una manifestazione, non c’erano permessi, era una di quelle che noi chiamavamo radio pirata. A partire dal ’76-’77 cominciarono a spuntare delle radio pirata un po’ ovunque in Francia, praticamente ogni città aveva la sua piccola radio pirata, che veniva spesso chiusa dalla polizia. Ma lì a Golfech, alla fine del 1979, si creò una radio specificamente per la lotta, fatta da ecologisti e antinuclearisti della regione con qualche compagno un po’ libertario, com’è sempre stato nelle lotte ecologiste. E siccome una radio pirata per definizione è clandestina, non poteva avere un posto fisso, bisognava trasmettere con delle batterie da una macchina, in montagna, perché gli sbirri la cercavano ovunque. La radio veniva spostata spesso su e giù per le colline, ogni volta che si poteva, così la polizia non riusciva a trovarla per triangolazione. Anche se non trasmettevano sempre, la radio era molto potente e, essendo tutta la regione di Golfech collinosa, per trasmettere era sufficiente mettersi in cima a una di queste colline e si sentiva dappertutto. Sono riusciti a fare una radio molto efficace, che è stata poi trovata e distrutta dalla polizia per ben due volte: sono arrivati gli sbirri, hanno arrestato i tipi e si sono presi tutto il materiale. È chiaro che EDF e gli sbirri volevano distruggere questo tipo di espressione: distribuire un giornale o dei volantini non è come una radio che tutti possono ascoltare. Perché le sere che trasmettevano li ascoltavano davvero tutti: questo ovviamente li disturbava molto, e poi la politica del governo contro le radio pirata all’epoca era questa. Più tardi ne hanno legalizzata qualcuna, imponendo le loro condizioni, ma le radio pirata che appartenevano ai movimenti sociali o antinucleari non gli piacevano. E non gli piacciono nemmeno adesso.
Nello stesso periodo, all’inizio del 1980, venne creato un giornale, Le Geranium Enrichi, che usciva una o due volte al mese, e ci furono 23 o 24 numeri in totale. Era stampato in grande formato, c’era un indirizzo e alla fine c’erano circa mille abbonati, che è molto per una pubblicazione antinucleare locale. Era un giornale molto critico, rileggendolo nella maggior parte degli articoli trovi le analisi classiche della critica antinucleare, sulla salute ecc., e anche molte analisi sulla politica, la critica ai politici, e poi c’erano i perché dell’essere contro a questa società nucleare poliziesca. Era edito dal CAN di Golfech e funzionava con un piccolo comitato redazionale, ma era aperto a tutti i contributi che la gente inviava come articoli. Cioè non era scritto da un gruppo ristretto di persone ma piuttosto, se analizziamo un po’ la sua storia, era un luogo di dibattito collettivo, in quanto più della metà dei pezzi erano contributi della gente tramite lettere, articoli ecc., ed era uno strumento che veicolava anche le informazioni delle altre lotte antinucleari come quella di Plogoff o di Chooz. Non era localistico, fermo solamente su Golfech, e aveva una grossa diffusione, anzi in quel periodo era uno dei giornali antinucleari più combattivi. Anche a Plogoff avevano un loro giornale, ma non aveva un grosso tiraggio, anche a Chooz ne avevano uno. Questo per dire che erano tutti mezzi che in una lotta si sommano ad altri. I comitati avevano i mezzi materiali e finanziari per poterlo fare. Perché questo? Perché la lotta era popolare. Se stampi un giornale in più di diecimila esemplari, vuol dire che la lotta è molto partecipata, che è popolare.
E poi in questo periodo venne costruita la Rotonda in un terreno che avevamo acquistato collettivamente, facendo la domanda come Gruppo fondiario agricolo. L’obiettivo della Rotonda era di mettere nel bel mezzo della centrale, perché appunto il terreno che ci apparteneva stava proprio in mezzo ai terreni di EDF, qualcosa che ne impedisse materialmente la costruzione. Non la potevano mica costruire con noi dentro. E puoi immaginare quanto piacesse a EDF e ai vigili vederci passare tutti i giorni di là! Fu costruita in un paio di mesi con materiali di recupero, terra e legno, ed è stata inaugurata nel settembre del 1980 durante una festa. Nell’ultimo periodo c’erano anche due capre, un maiale, degli animali, dei polli, e c’era pure qualcuno che viveva lì permanentemente. Ma, capisci, per arrivarci bisognava passare tra le recinzioni di EDF, dovevamo passarci e non potevano impedircelo, per la gioia di vigili e gendarmi che ci prendevano sempre i numeri delle targhe. Comprare il terreno è stato semplice: si è deciso, qualcuno sapeva un po’ come funzionava, ci si è detti “se creiamo un Gruppo fondiario agricolo allora non possono sgomberarci”, e se noi quindi avessimo vinto la partita EDF non avrebbe potuto occupare il sito. Un proprietario ci ha venduto il terreno, giuridicamente lo abbiamo intestato a questo Gruppo fondiario agricolo, perché era vantaggioso dal punto di vista legale, e a quel punto noi eravamo lì e non ci muovevamo. Per acquistare la terra abbiamo fatto una sottoscrizione alla quale ha partecipato circa un migliaio di persone, mettendo ognuno un po’ di soldi, ovviamente a fondo perduto. Mettevamo un po’ di soldi e ce ne fregavamo, era una cosa collettiva e non era il caso di fare questioni, su a chi venisse intestata e robe del genere…
In quel periodo venivano anche occupate le fattorie: EDF, dopo aver acquistato i terreni, ne demolì qualcuna, ma per lo più demoliva solo il tetto. La gente è arrivata in gruppi, ha occupato le fattorie e la prima cosa che ha fatto è stata ricostruire i tetti, poi stabilirsi. Dopo qualche settimana però EDF è ritornata con i gendarmi, hanno fatto uscire tutti quanti e le hanno demolite. Non sono durate molto, un paio forse hanno resistito qualche mese. Ma non appena EDF ha capito che era un metodo di lotta ha chiamato subito gli sbirri. Anche la Rotonda è stata, dal mio punto di vista, un’operazione tattica per creare un problema per la costruzione della centrale. E a livello legale era ineccepibile. Non puoi costruire una centrale se tu sei lì: non ti possono cacciare materialmente, ma non possono nemmeno lasciare una fattoria di un ettaro fra le torri e le strutture della centrale, anche perché eravamo al posto di alcuni edifici.
Una scelta tattica, dicevamo, ma era allo stesso tempo anche un luogo dove si viveva, si facevano le riunioni, si passavano i fine settimana, c’era chi ci viveva, chi ci stava qualche mese, altri qualche giorno. Funzionava a tutti gli effetti come luogo d’incontro per molta gente. La Rotonda era del movimento, era appoggiata da tutti i comitati antinucleari, ed era anche di tutti quelli che passavano. Mi ricordo che soprattutto i sabati e le domeniche c’erano decine e decine di persone che venivano e ci rimanevano per il fine settimana, a preparare da mangiare, a fare delle feste. Gran parte della gente che viveva lì, attorno alla centrale, passava spesso e ci portava tantissime cose, da mangiare e da bere, per essere solidali con gli occupanti.
E poi attraverso la Rotonda si potevano fare delle azioni all’interno del sito, era proprio lì a due passi, le recinzioni venivano tagliate, si facevamo delle azioni collettive e ci entravano tranquillamente molte persone. Sono partite da lì anche le grandi manifestazioni: si andava alla Rotonda e dopo si assaltava il sito, tagliando duecento metri di rete, e centinaia di persone entravano. C’era un accerchiamento permanente, era sempre una guerriglia. Le recinzioni venivano tagliate quasi ogni domenica, e c’erano anche dei gruppi di famiglie che ci venivano. E quando arrivavano gli sbirri per provare ad arrestarci, la gente riusciva ad andarsene lo stesso. Per farti un esempio, nel settembre del 1980 i comitati antinucleari di Tolosa, di Valence d’Agen e di Golfech, avevano organizzato un fine settimana di concerti e di attività proprio alla Rotonda. Sono venute, credo, 10.000 persone e sono successe tante cose: EDF aveva già recintato tutto e aveva costruito all’interno un grosso edificio prefabbricato che fungeva da stazione meteo per monitorare il tempo atmosferico della zona, una cosa che dovevano fare per legge. Dopo il concerto circa cinquecento persone hanno strappato le recinzioni, sono andate alla stazione meteo e l’hanno bruciata. Ce ne sono state molte, di azioni collettive, c’era l’abitudine di fare azioni collettive.
Alla fine la Rotonda e il sito sono stati occupati dagli sbirri, e la Rotonda è stata bruciata con gli animali dentro. So che un collettivo ha sporto denuncia, ma non so come sia finita. Magari dopo dieci o vent’anni vengono a dirti: sì, voi siete i proprietari, vi risarciremo i danni… Ma il giorno che l’hanno bruciata, compiendo un’azione criminale, hanno chiuso il passaggio e così non potevamo più entrare, questo è il punto. È chiaro che gli sbirri hanno bruciato la Rotonda con EDF a fianco. Dandole fuoco, anche se era una proprietà privata, potevano impedirci l’accesso, ed è quello che hanno fatto. Dopo diventa una storia giuridica, si va in tribunale e ci mettono venti o trent’anni per risponderti. Anche se alla fine ti danno ragione, la centrale intanto la fanno lo stesso. Il loro obiettivo era questo. Sanno bene anche loro compiere atti illegali: hanno bruciato la Rotonda appositamente per fermare la nostra entrata. Dopo, infatti, non abbiamo più avuto la possibilità di accedere al sito, anche perché quando tutto questo è successo non c’è stata una reazione compatta del movimento, c’erano già state le manifestazioni represse brutalmente dalla polizia, come quella di Valance d’Agens, e il movimento era in declino. 

Nell’inverno dell’80 la situazione si modifica di nuovo. È finita l’inchiesta, ma gli avvoltoi della politica cominciano a mettere le mani sul movimento, essendoci le elezioni in primavera. Intanto i cantieri continuano, ma anche la mouvance continua per la propria strada. 

Alla fine del dicembre 1980, Giscard e il suo primo ministro Raimond Barre firmano il decreto di utilità pubblica senza però dare il permesso per costruire. È chiaro che stava cominciando una nuova fase: avrebbero costruito la centrale senza ufficializzarlo. Da questo momento si diffusero massicciamente nella regione altri tipi di azioni, come bruciare le macchine di EDF, spaccargli le vetrine, tirare le macchine dentro i suoi locali e via dicendo. Ce ne sono state a decine, per denunciare il fatto che era EDF che voleva costruire una centrale a Golfech: all’inizio erano concentrate contro di essa, miravano ai suoi interessi. Così le azioni cominciarono a radicalizzare la lotta. In più vedevamo che stavano mettendo in piedi tutta una struttura di imprese per costruire la centrale, di imprese regionali intendo. Durante il periodo elettorale EDF si nascose un po’, e pure i politici si fecero piccoli piccoli seguendo una politica opportunista, come Mitterrand del resto che andava in giro dicendo: “Se sarò eletto io Golfech non si farà”. Noi non ci credevamo, ma la maggior parte degli ecologisti e dei democratici antinucleari invece sì, e su questo bisogna attaccarli, loro pensavano davvero che con la vittoria di Mitterrand la centrale a Golfech non sarebbe stata costruita. Così un bel po’ di gruppi ecologisti fecero un appello per andare a votare per i socialisti, e a dire il vero anche dei compagni anarchici ci sono andati, perché credevano che forse, perché no…
In quel periodo, nel ’79-’80, il panorama della lotta democratica era questo: c’erano degli scienziati dell’università di Tolosa che avevano spiegato in un rapporto perché fosse un’aberrazione economica costruire Golfech, contestando la storiella propagandistica sul bisogno di energia, con tanto di studi che dimostravano il contrario. E anche il consiglio regionale, a maggioranza socialista, e i radical-socialisti come Baylet, direttore della Depeche du Midi¹, si erano schierati tutti contro la centrale. Possiamo dire che tutti i poteri politici ed economici della regione e delle province erano contro. È per questo che Mitterrand si pronunciò dicendo che con lui Golfech non sarebbe stata costruita, e nemmeno Plogoff, né Chooz. Puoi immaginare, un sacco di gente c’è cascata. Il consiglio regionale socialista era contro, tutte le università erano contro, gli scienziati erano contro, e pure noi eravamo contro, così una tendenza maggioritaria finisce per credere anche a Mitterrand. In più c’era una grossa parte degli ecologisti, che ritroveremo anni dopo all’interno dei partiti cosiddetti verdi, che vedevamo fremere per fare politica. Per noi, per l’analisi che facevamo, i politici mentono sempre: a prescindere da quello che ti dicono, anche se spergiurano che sono contro o a favore di qualcosa, bisogna sempre aspettarsi il momento in cui ti tradiranno. Un bel giorno si dicono contro al nucleare, e poi cambiano di nuovo idea. Noi compagni avevamo previsto anche il momento in cui ci avrebbero tradito, su questo potevamo scommetterci: dopo le elezioni, ovviamente. Ma durante il periodo elettorale, l’appello massiccio degli antinuclearisti e dei politici a votare Mitterrand sottaceva una speranza a cui si aggrappò molta gente. Noi eravamo sicuri che ci avrebbero tradito, e per noi non intendo solo una grossa parte del movimento libertario, ma anche molti antinuclearisti ed ecologisti. Nelle riunioni a volte ci scontravamo su questo, cercavamo di far passare i nostri discorsi ma eravamo minoritari, per così dire. Facevamo un discorso più radicale, ma se la gente voleva credere al fatto che la centrale non sarebbe stata costruita perché lo dicevano i politici, che ci credessero, punto. Questa mentalità c’è ovunque, in tutti i Paesi: credere che saranno i politici a risolverti i problemi, ma non è un politico che ti dirà se una cosa si fa o no, loro ti fanno solo delle promesse e poi quando sono al potere fanno sistematicamente il contrario. Storicamente non vale la pena di analizzarlo. Noi l’abbiamo detto fin dall’inizio, il loro unico obiettivo era che la gente votasse in massa per i socialisti, per Mitterrand, il 10 maggio 1981. Così fu, ma quella stessa notte, per festeggiare la sue elezione e per aiutarlo a fermare i lavori, qualcuno fece saltare una decina di bulldozer e di macchine che stavano lavorando in un’autostrada vicino a Golfech. Mitterrand aveva detto che era contro la centrale: c’era chi lo aveva preso in parola e gli stava dando una mano.
La reazione generale dopo le azioni più radicali era, come sempre, ambivalente. Ricordo che una volta è stato rubato un furgone di EDF: primi a criticare sono stati ovviamente i sindacati e il partito comunista, che, tra l’altro, erano a favore della centrale. A livello di gente poi c’è sempre questa tendenza democratica a prendere le distanze, se ti metti un casco per difenderti dai colpi di manganello ti diranno che sei un terrorista, questo ci sarà sempre. Le critiche vere e proprie però venivano dai giornalisti. Sulla Depeche ogni volta che c’era una macchina bruciata, anche se a volte riportavano il comunicato, subito dopo riferivano i comunicati dei sindacati, e a dire il vero c’erano anche alcuni comitati antinucleari che criticavano questo tipo di azioni, non tutti; in linea di massima chi si accaniva di più erano i personaggi che in seguito ritroveremo in politica. La pratica di interrompere il traffico, invece, era abituale. Per mesi e mesi, ogni due o tre settimane c’era quella che veniva chiamata un’operazione di filtraggio, cioè occupare la statale attorno a Golfech o Valence d’Agen, bloccare le macchine e distribuire volantini. Era molto popolare, e vi partecipavano massicciamente tutti i comitati antinucleari locali. 

Colpo di mano. La sinistra con una sola mossa si fa eleggere e fa costruire la centrale. Ma la gente s’incazza o no? 

Mitterrand, da buon politico, la prima cosa che dice non è “Golfech non si farà”, lui disse che, se fosse stato eletto, Golfech non sarebbe stata costruita. Infatti, qualche settimana dopo esser diventato presidente “congela” i lavori di tutte le centrali, ma questo solo formalmente, perché i lavori ufficiosamente continuavano. Ecco un lampante esempio delle promesse dei politici: lui e la sua cricca ufficialmente stanno al gioco, congelano i lavori della centrale nucleare di Golfech, di Chooz, e bloccano il progetto di Plogoff. Noi vedevamo tutti i giorni i lavori continuare, perfino il giorno dopo le elezioni le macchine erano in moto e continuavano con i lavori di terrazzamento, di preparazione delle fondamenta, con centinaia di operai. Ma nemmeno la finta sospensione ufficiale è durata più di tre mesi. Mitterrand ha detto: facciamo un dibattito per il nucleare. E infatti lo fecero, ma all’Assemblea nazionale votarono tutti, ovviamente, per la continuazione dei lavori. Così lui poteva continuare a dire: “Io avevo detto che avrei fermato i lavori, ma è l’Assemblea nazionale che vota per la loro prosecuzione”. È sempre lo stesso gioco dei politici. L’unica concessione di Mitterrand fu all’opposizione massiva e più popolare contro la centrale nucleare di Plogoff, ma solo a questa. Ovviamente potevano permettersi di annullarne una, dal momento che avevano già deciso di costruirne molte altre. Ecco lo scambio: a Plogoff non si sarebbe fatta perché c’era qualcuno che si opponeva, ma a Golfech, democraticamente, si è deciso di sì.
Di conseguenza il movimento visse momenti di grande delusione, il pensiero comune era: “Ci hanno tradito, sono degli stronzi, ci hanno fatto votare”. Ci fu un moto di collera, ma sempre di collera democratica, che si lamentava: “Ci hanno tradito, ci hanno tradito”. Ma comunque la gente continuò a opporsi, si rinforzarono le grandi manifestazioni dentro e attorno alla centrale, come quella del 4 ottobre del 1981, convocata subito dopo che il dibattito parlamentare aveva approvato l’impianto di Golfech. L’obiettivo della manifestazione era occupare il sito, buttarli fuori e dimostrare che eravamo contro in maniera determinata: al concentramento, che era alla Rotonda, ci ritrovammo in migliaia. A un certo punto, la gente si scontrò con la celere, che fu fatta indietreggiare, e, arrivati in prossimità della recinzione, abbiamo tagliato la rete. Siamo entrati nel sito in più di mille, eravamo circa 4-5 mila, e abbiamo cominciato a fare dei danni alle macchine e un po’ dappertutto. I celerini erano stati sorpassati, confinati in un angolo, questo per spiegare in che modo si facevano le cose.
Il 29 novembre c’è stata un’altra manifestazione. Prima ci permettevano di arrivare fino al sito, ma nel frattempo la Rotonda era stata bruciata e questa volta dovemmo partire a una decina di chilometri, a Valence d’Agen. C’eravamo riuniti in uno stadio, per poterci rimanere un fine settimana, e a un certo punto abbiamo deciso di avanzare dal paese verso il sito, verso Golfech. Ma questa volta gli sbirri avevano cambiato tattica e, capite le nostre intenzioni, che cosa hanno fatto, sono venuti verso di noi, verso lo stadio che occupavamo. Ci siamo difesi come abbiamo potuto, gli sbirri hanno cominciato a caricare, ci hanno caricato per venti chilometri perché la gente scappava a piedi, in macchina, qualche auto raccoglieva sei sette persone e partiva come poteva, scappavamo per la campagna. È stata una delle manifestazioni represse più duramente. Nella notte, quando siamo tornati verso il sito, abbiamo ritrovato molte auto rotte, ecco, questa era la nuova tattica degli sbirri. Dopo ce n’è stata un’altra, non mi ricordo la data, organizzata in una sala per congressi, ed eravamo un migliaio di persone. In quel caso siamo riusciti ad avvicinarci al sito, ma gli sbirri hanno fatto degli sbarramenti, ci sono stati degli scontri in mezzo alla statale, e noi abbiamo dovuto retrocedere perché ci tiravano addosso molte granate, erano ben armati e decisi a inseguirci fino in mezzo al paese, dove eravamo riuniti. E così hanno fatto, con le macchine, a caccia dell’antinuclearista, aiutati anche da qualche operaio pro-nucleare. Una volta arrivati nel paese hanno cominciato a massacrare tutti, attaccavano pure gli anziani che appartenevano ai comitati, per impaurire la gente, perché non manifestassero più. Questa è la solita vecchia tattica fascista: spaccare la testa alla gente, così poi ci pensa un attimo prima di venire a una manifestazione. Gli sbirri attuavano una vera e propria tattica di violenza finalizzata a distruggere il movimento antinucleare: attaccavano i più deboli, non i più radicali, cercavano apposta la gente normale. Se mentre vai a manifestare gli sbirri ti spaccano l’auto in mille pezzi… questo gli serve per creare un clima di terrore, così la gente partecipa sempre meno alle manifestazioni. In quel periodo erano frequenti anche le aggressioni dei pro-nucleare contro i militanti più anziani. Quando parlo di pro-nucleare intendo quegli operai che il capo del cantiere della centrale assoldava con qualche bottiglia di pastis o con un lavoro meglio pagato per aggredire gli antinuclearisti. Attaccavano soprattutto gli anziani che vivevano a cinque, dieci chilometri dalla centrale, e lo facevano sistematicamente. Una delle prime azioni fatte è stata andare dal direttore della centrale … insomma un gruppo decide di dare un avvertimento a ’sto direttore tirando qualche revolverata contro la sua casa, sapendo che dentro non c’era nessuno ovviamente, e inviando poi un comunicato che diceva: “Il movimento antinucleare non attaccherà qualche pesciolino ma sempre chi regge i fili, chi dà gli ordini…” e gli ordini arrivavano, ovviamente, dal direttore. A buon intenditor poche parole. Affinché si fermi questo gioco, anche noi sappiamo giocare alla violenza. Il risultato fu che hanno smesso subito con le aggressioni, e il direttore della centrale qualche mese dopo ha dato le dimissioni e se n’è andato. Però via uno ne arriva subito un altro, funziona così…
Alcuni mesi dopo, nel corso di una manifestazione convocata a Tolosa, la polizia cambiò di nuovo tattica repressiva. Eravamo parecchie migliaia, ma nel giro di mezz’ora ci dovemmo disperdere perché un gruppo di persone cominciò a tirare molotov nei negozi pieni di gente. È stata una provocazione, ne sono certo, per poterci accusare di essere dei casseurs, per poter dire: guardate cosa sono gli antinuclearisti, gente che distrugge tutto. È una tattica vecchia, del resto, usare i provocatori, e quelli che sono partiti quel giorno dalla manifestazione tirando molotov in piena strada commerciale di Tolosa erano di sicuro sbirri e pro-nucleari. I negozi non erano gli obiettivi da distruggere. C’era un obiettivo preciso, cioè attaccare la sede di quella che, per intenderci, è la Confindustria in Francia. Volevamo bruciarla collettivamente. Quando siamo partiti qualcuno che non conoscevamo, e che era un po’ sospetto, ha cominciato a tirare le molotov nei negozi. Non erano antinuclearisti né autonomi, perché tutti sapevano che l’obiettivo era un altro, né tanto meno gente che non aveva esperienza e che faceva pasticci. Era gente che voleva deliberatamente rovinare la manifestazione e l’azione che avevamo in mente. E in più hanno sputtanato il movimento antinucleare. Ci furono anche alcuni feriti tra i passanti, e questo non era mai successo. Io sono convinto che è stata una provocazione. Da quel giorno non si sono più potute organizzare grosse manifestazioni con azioni collettive.
Ma questo non è stato l’unico motivo perché, anche se c’era nell’animo di molta gente la voglia di continuare, ci sono altri fattori da considerare. Sappiamo quanto conta nella lotta quando tu vai, e lo dico anche per noi della muovance, e credi davvero di poter vincere, di poter fermare la costruzione della centrale. La gente va avanti anche perché ci crede. Ma quando si cominciano a perdere le speranze se ne vanno anche le convinzioni. Dopo tutto quello che era successo, la gente cominciava a essere un po’ più delusa e a perdere la certezza che la lotta si poteva vincere. Ci sono molti fattori che si sommano, come la morte di Claude Henry Mathais² nel novembre dell’82. La lotta ha avuto una crescita, perché ci credevamo, e in più quest’energia si è socializzata in modo più radicale, perché ci sembrava di vincere, poi c’è stata una repressione molto forte che si è conclusa con le provocazioni degli sbirri, ed è cominciata a diminuire la combattività della gente. Tutto questo, in rapporto a una lotta, ci fa interrogare su cosa sappiamo affrontare quando ci si dà come obiettivo battersi contro il capitale in delle lotte specifiche. 

E in tutto questo si muove il movimento libertario, con l’analisi e la pratica. Alla piega che i politici volevano imporre al movimento c’è stata una risposta puntuale e diffusa, dall’81 in poi, frutto di una precisa scelta strategica che può contare su una rete di contatti e una serie di pratiche ben consolidate: Tolosa negli anni Settanta ha una storia da raccontare… 

Fin dall’inizio della campagna elettorale, nell’81, c’eravamo ben resi conto che i politici stavano allungando le mani sulle mobilitazioni: lo avevamo visto, la regione era contro e persino Mitterrand si diceva contrario. Non a caso i sabotaggi consistenti e continui cominciano proprio a partire dall’elezione di Mitterrand. In quel momento una parte della gente, diciamo della mouvance, fa la seguente analisi: facendo una certa pressione materiale contro le ditte che lavorano nel sito e contro EDF, si può dimostrare una determinazione che forse è in grado fermare la costruzione della centrale. Ma tutto questo, s’intende, mescolato alle azioni di massa, e non certo come una strategia separata. Del resto, una parte della mouvance partecipava, effettivamente, ai comitati antinucleari. Cominciano così una serie di campagne di azioni, soprattutto contro le ditte che lavoravano nel sito e contro EDF. La tattica non era tanto quella di fare delle azioni simboliche, perché che con delle vetrine rotte, un paio di molotov lanciate dentro un locale e qualche macchina di EDF bruciata non si va molto lontano. Venne presa la decisione di fare delle azioni finalizzate a demolire le imprese, a demolirle fisicamente, intendo. Veniva scelta una ditta, e poi demolita, fatta saltare: gli edifici, le macchine, tutto.
Il movimento, nella regione di Tolosa, aveva una certa pratica, questa è un po’ la sua storia, una pratica legata all’uso di alcuni mezzi illegali, soprattutto esplosivo. La mouvance di cui parlo aveva un’esperienza che le derivava dalle azioni di solidarietà con le lotte antifranchiste, e parecchi di questi gruppi libertari e anarchici si sono ritrovati a battersi contro Golfech. C’era una sensibilità libertaria diffusa, solidale con la Spagna. Prima della morte di Franco, nel 1975, è successa una cosa che ha toccato tantissimi compagni: Franco ha ammazzato parecchie persone, ha fatto garrotare Puig Antich, ha fatto fucilare tre militanti del Frap e i due di Eta, e Oriol Solè³ venne ammazzato mentre cercava di scappare. A quell’epoca, in Francia, si facevano saltare le banche spagnole… ecco, lo stesso movimento, con quest’esperienza alle spalle, lo ritroveremo più tardi nei dintorni di Golfech.
Nella regione di Tolosa questa mouvance era composta da alcune decine di persone, ma c’erano anche altri gruppi che non vi facevano parte e non vi si riconoscevano. Possiamo dire che esistevano dei piccoli gruppi di affinità, e che a un certo punto questi gruppi si sono uniti per mettere insieme le idee, i mezzi e per vedere quello che si poteva fare collettivamente, anzi direi proprio per poter mettere in atto le idee: per tutte le azioni, infatti, ci sono voluti molti mezzi, molto materiale e molta gente. Come per l’azione alla ditta Culetto, per esempio, dove in una notte sono saltati trenta camion e venti furgoni. Il coordinamento c’era, era informale, nel senso che la gente si trovava e discuteva. Come… come funziona da sempre un gruppo d’affinità: un po’ di gente s’incontra attorno a un tavolo, magari dopo aver mangiato, e parlando del più e del meno ci ficca in mezzo un’analisi della situazione politica e a un certo punto qualcuno dice: toh! questa è la mia opinione sul problema, attaccare qui, fare un’azione di sabotaggio simbolica o un po’ più importante… ecco, questo è un gruppo di affinità. Non è un gruppo esclusivo, una specie di cellula, si può far parte di un gruppo e allo stesso tempo avere delle affinità con altri, e questo per dire che erano interscambiabili. In questa mouvance la gente si conosceva, c’era chi lavorava un po’ di più assieme, chi due tre volte e chi soltanto per un’azione specifica, è così che funziona il gruppo. A un certo punto, per quel che riguarda Golfech, questi gruppi sentono il bisogno di riunirsi, quelli che lo volevano, è chiaro, non era obbligatorio, così parecchie persone si sono trovate e hanno deciso di pensare alla tattica da utilizzare per lottare. All’inizio erano tutti convinti che la centrale potesse essere fermata, e ognuno doveva solo decidere come farlo. La tattica scelta è stata questa: come prima cosa attaccare EDF, demolendo tutto quello che si poteva, e poi attaccare e demolire le ditte che lavoravano nel sito, soprattutto le ditte locali, anche se in realtà la maggior parte erano nazionali. Detto così sembra semplice, ma presuppone un lavoro di ricerca sulle imprese, perché non si sapeva molto, e poi un lavoro di ricognizione sul posto per vedere cosa effettivamente si poteva fare. Voglio dire che dietro c’è tutto un lavoro di ricerca, di coordinamento, di sicurezza e di recupero. Ma a un certo punto c’è solo una miccia, pronta per essere accesa … Tutto poi è andato bene, anche rispetto a un altro degli obiettivi discussi, cioè evitare che ci fossero dei feriti o dei morti: si voleva fare solo danni, ma dei danni massicci. Dei danni industriali. Non c’era interesse per qualche piccola azione simbolica, le ditte dovevano essere demolite. E così è stato per molte altre imprese, in decine e decine di attacchi diversi.
Più tardi, nell’82, quando Mitterrand fece il voltafaccia, disse sì a Golfech e dopo qualche mese lo seguì a ruota anche il Consiglio generale dei socialisti, ci sono state anche delle azioni contro il Partito socialista: a Tolosa la sede del partito venne demolita da una grossa carica di esplosivo, secondo la Depeche venticinque chili, e il locale è letteralmente crollato. Questo non impedì ad altri di tirare fucilate sulla cassetta delle lettere di un deputato socialista, uno o due colpi di fucile. Sono state delle cose simboliche, ce ne sono state due o tre. Senza alcuna intenzione di ferire, è stata più un’espressione di collera. Anche se fosse stata gente della mouvance, che ne aveva piene le scatole di questi deputati socialisti, a prendere un fucile e a tirare su una cassetta delle lettere, non so, per dimostrare che avevano le palle, non bisogna vederla come una tattica, come un ragionato attacco ai deputati socialisti traditori, è stata semplicemente un’esplosione di rabbia. Non sto parlando del PCF (Partito comunista francese), loro ci avevano già tradito prima che cominciassimo, erano a tutti gli effetti a favore della centrale, erano per la politica dell’indipendenza energetica, dei lavoratori francesi, e tutte le loro cazzate per giustificare il nucleare. E dire PCF vuol dire anche il suo sindacato, la CGT, che a sua volta ha sempre criticato i sabotaggi; ogni volta che succedeva qualche cosa facevano uscire un comunicato dicendo che ledevamo gli interessi dei lavoratori, ma quali interessi? Che l’unica cosa che possiedono è la loro forza lavoro! Non ha neanche senso chiamarli traditori, loro facevano già parte del sistema, erano per il nucleare e basta, e facevano tutto il possibile perché si facesse. È per questo che è stata fatta qualche azione contro il PCF, contro una sua tipografia a Tolosa. C’era una collera generalizzata da parte di tutti, e noi ci stavamo in mezzo. Così ci sono state anche delle azioni più dure. Non per questo bisogna dar credito a cazzate del tipo che ci fu l’intenzione di ammazzare qualcuno, per qualche petardo in una cassetta delle lettere. Non c’è mai stata l’intenzione di cadere in questo tipo di azioni, l’unico obiettivo era quello di distruggere il materiale delle ditte, avendo sempre chiara l’intenzione di non provocare feriti e tanto meno morti. Nessuno si sarebbe messo a sparare col fucile per ammazzare qualcuno, questo è ridicolo. Sono state azioni simboliche, è stato fatto perché avevano tradito, non erano stati di parola. Noi d’altra parte ce lo aspettavamo pure.
Poi c’è la storia delle lettere minatorie. Un bel giorno spunta questa ARSEN, un’associazione di padroni, l’equivalente della Confindustria italiana, creata apposta per lavorare a Golfech, in pratica per controllare meglio tutto. Dopo un po’ tutte le ditte che aderivano a quest’associazione hanno ricevuto un pacco firmato ARSEN, che conteneva un testo del tipo “sappiamo che vi siete candidati per lavorare a Golfech, vi raccomandiamo di non lavorare, di non collaborare, a buon intenditor poche parole”. Firmato LUPEN. Un gioco di parole su ARSEN e quindi LUPEN. Insomma, LUPEN scrive queste lettere. Qualche ditta ha risposto addirittura al giornale, al Geranium, dicendo: sì, siamo nella lista ma vogliamo farvi sapere che noi non lavoriamo per Golfech. Era un mezzo per far pressione, uno dei tanti. Come lo sarà più tardi una campagna di sabotaggi contro i contatori EDF. A Mirail, un quartiere di Tolosa dove c’erano moltissime case popolari, sono stati distrutti migliaia di contatori. Era un altro tipo di campagna… così EDF doveva mettere i contatori nuovi e la gente intanto non pagava l’elettricità. 

Continua qui


Note
1: Quotidiano, diffuso nella regione Midi-Pyréès e nelle province dell’Aude e della Lot-et-Garonne, diretto da Jean Michel Baylet, radical-socialista, che seguirà la parabola di Mitterrand.
2: Militante anti-nucleare, era membro del CRAN di Golfech e partecipava alla redazione di Le Geranium Enrichi. Scomparve la notte fra il 10 e 11 novembre 1982 e venne ritrovato morto l’8 dicembre successivo nella Garonna. A ucciderlo fu Floréal Bujan, suo collega di lavoro e compagno di lotta, durante una lite. Venti giorni dopo la sua morte, appena prima dell’inizio del processo contro il suo assassino, fu montata una campagna mediatica con la quale si cercò di screditare la sua immagine e il movimento anti-nucleare. In risposta, una parte del movimento antinucleare si buttò in una contro-campagna per incolpare la polizia di aver architettato tutto.
3: Per un approfondimento si veda il libro Agitazione armata in Spagna. Mil, Gari, Gruppi Autonomi.

La Canaglia a Golfech - Vis à Vis - Prima Parte

Proseguiamo con la saga de La Canaglia a Golfech, grazie a Daniele che mi ha mandato il file evitandomi il tremendo sbatti di copiarmi tutto a mano.

Introduzione: prima parte - seconda parte.


Due uomini, un giovane e un vecchio, camminano oltre il recinto di una centrale nucleare.

Il fumo denso che esce dalle gigantesche torri offusca la limpidezza di un’alba appena accennata. Il loro incedere rallenta, con l’accelerare delle parole, dei ricordi, dei desideri e dei progetti, e il solo racconto sembra far tremare lo sfondo, con tutta la sua pretesa d’ineluttabilità.

Più in là, una capra selvatica ha divorato i pochi fiori malati e con essi qualche formica a due teste. Ora gironzola, intenta a trovare il luogo migliore per lasciare le sue scorie.
Sono mesi che leggo e mi documento sugli anni di lotta contro la centrale di Golfech, ma poterselo far raccontare… non avrei chiesto di meglio. Le raccolte di testi e comunicati, le cronologie e tutto il resto impoveriscono sempre un po’, quantomeno il “sapore” di un’epoca, l’entusiasmo e la determinazione che le sono fondamentali. Raccontami allora dall’inizio questa lunga lotta… 

Tutto è iniziato quando EDF¹ e il governo di allora (prima di Mitterrand c’era la destra di Giscard²) decisero di costruire una centrale nucleare a Golfech. L’opposizione reale, intendo la formazione di gruppi di opposizione, esplose alla fine degli anni Settanta, nel 1977 ma soprattutto nel corso dei due anni successivi, nel momento in cui EDF iniziò ad acquistare e poi a espropriare i terreni e le fattorie presenti sul futuro sito.
Della questione nucleare però se ne parlava già dagli anni Sessanta, circa dal ’63, da quando Edf aveva cominciato a chiedere la disponibilità di moltissimi siti in tutta la Francia, come a Golfech, a Plogoff, a Pont la Nuvelle e a Chooz. Più o meno funzionava così: per ogni sito EDF presentava una domanda, con la vecchia tattica di chiedere dieci per ottenere quattro, e immediatamente nascevano dei comitati composti, almeno nei primissimi momenti, da abitanti della zona che non credevano alle solite balle dei politici, tipo che i cantieri avrebbero portato lavoro, o semplicemente si opponevano alla costruzione della centrale punto e basta. In questo modo tutta la gente che aveva una sensibilità ecologista cominciò subito a coordinare delle azioni, costituendo i primi comitati antinucleari quando del progetto ancora se ne parlava soltanto. Vi partecipavano anche gruppi che esistevano già prima, sparsi in tutta la regione: a Tolosa, per esempio, uno di questi era una cooperativa, un gruppo di acquisto di prodotti biologici. Per Golfech in particolare si creò già nel ’65 un comitato in un paese vicino, a Valence d’Agen. In un paesino di cinquecento abitanti come Golfech il movimento che si creò in quegli anni era piccolo, ma i comitati nascevano subito, non appena i comuni si dichiaravano contrari. Contemporaneamente, infatti, si era formato un coordinamento fra i sindaci di Golfech e dei paesi circostanti, che si muoveva con tutti i mezzi democratici, petizioni, referendum e campagne di sensibilizzazione, per far sapere che la popolazione era contraria. In quel periodo tutti i comuni della zona, che erano per lo più di destra, si schierarono contro la centrale perché si rendevano conto che, al di là degli argomenti di propaganda dell’epoca, in quattro o cinque anni sarebbe diventata soltanto un problema economico: a parte qualche operaio che poteva consumare nei negozi e nei bar circostanti non ci sarebbe stato niente da guadagnare, solo nocività e pericoli. In risposta, EDF fece la sua campagna di propaganda utilizzando anche degli pseudo referendum, per dimostrare che c’era anche qualcuno a favore, si sa, come il padronato, le imprese e i sindacati tipo la CGT pro-comunista che era ovviamente con loro, era anzi uno dei migliori difensori dell’industria nucleare a livello popolare.
Ecco, questo è in sintesi il modo spontaneo e para-istituzionale in cui si formò l’opposizione, fino a quando, verso la fine del 1977, EDF fece domanda per gli espropri e allora si capì che la centrale stava per essere effettivamente costruita. Nel ’77-’78, infatti, si cominciò a parlare concretamente della costruzione, e, anche se mancavano ancora le autorizzazioni, EDF iniziava a farsi sotto e a organizzare gli espropri del terreno che le occorreva e che era enorme – non saprei dire di preciso, comunque circa trecento ettari – vicino a un grosso fiume sbarrato da una diga per avere l’acqua di raffreddamento. A proposito, ecco un bell’esempio di come ce la raccontano: nel 1967 EDF presentò il progetto, subito approvato, di una diga a Malause che fu terminata nel ’72. Noi c’eravamo sempre chiesti il perché della sua esistenza, e anni dopo abbiamo saputo che sarebbe servita al raffreddamento della centrale. Questo dimostra chiaramente che quando hanno in mente di fare qualcosa ci sono già altri progetti in moto, esiste una pianificazione che non viene svelata, per poterla meglio imporre. Quando EDF ha cominciato a parlare della centrale a Golfech, si è capito subito a cosa sarebbe servita la diga. Ma dicevamo, trecento ettari: un sacco di terra quindi. E di espropri ce ne furono parecchi, perché molti proprietari dei terreni si rifiutarono di vendere fino all’ultimo, anche se EDF li avrebbe pagati molto più del prezzo di mercato. Il copione era sempre lo stesso: EDF dava il via agli espropri, ovviamente ottenendo sempre ragione in tutte le cause impugnate, e nel 1979, dopo che gli espropri e gli sgomberi delle fattorie erano diventati effettivi, EDF arrivava con i bulldozer, con camion e camion di sbirri, faceva uscire la gente con tutte le proprie cose e demoliva immediatamente le case. In risposta si trovò subito una piccola tattica, adottata da alcuni comitati di Golfech e Tolosa: assieme a un’associazione ecologista di Tolosa sfruttammo l’escamotage giuridico di creare un Gruppo fondiario agricolo (Gfa, una sorta di cooperativa), e con la complicità di un proprietario comprammo un pezzo di terra proprio dove doveva essere costruita una torre della centrale. Con questo escamotage c’era il vantaggio giuridico che il terreno non poteva essere espropriato, noi non potevamo essere sgomberati, e questo diventava un problema per la costruzione della centrale. Proprio in questo pezzo di terra di proprietà collettiva verrà costruita la “Rotonda”, ma di questo te ne parlerò più avanti. 

Dai documenti si nota come, fin dal principio, parte del movimento antinucleare, soprattutto i comitati di cittadini, cercarono di organizzarsi coordinandosi tra loro. Dal coordinamento locale si passò presto a una piattaforma nazionale che riuniva i comitati di tutta la Francia. Da dove partì, e chi partecipò a questo coordinamento? 

In sintesi, la situazione era questa. Dopo la manifestazione di Malville del luglio 1977, repressa violentemente dalla polizia, ovunque c’era la possibilità che si costruisse una centrale si costituivano immediatamente dei comitati antinucleari, a cui partecipava per lo più gente dei paesi, ma anche persone appartenenti a partiti politici, e poi c’erano i militanti di gruppi o individui libertari. Dopo Malville queste persone, questi individui, che definiamo libertari, andarono a rafforzare i comitati, e questo non avvenne solamente a Golfech ma in tutta la Francia, come a Chooz per esempio. Il caso specifico di Plogoff merita un’analisi a parte: anche qui fu creato un comitato, ma vi parteciparono principalmente gli abitanti del paese.
Il CAN (Comitato antinucleare) cominciò a crearsi verso il 1977. Il primo gruppo a farvi parte fu il comitato antinucleare di Valence d’Agen, poi quello di Golfech che riuniva svariate persone dei paesi attorno. Ne faceva parte anche il comitato di Tolosa, creato nel ’68 o nel ’69, non ricordo bene la data, da gruppi ecologisti e libertari che avevano una sensibilità antinucleare. Nel CAN c’erano collettivi ecologisti, qualche partito politico, come per esempio la Lega comunista rivoluzionaria (LCR), ma soprattutto un’importantissima mouvance³ libertaria, organizzata o no che fosse, presente un po’ dovunque nei comitati. Il CAN era coordinato a livello regionale e nazionale; c’era il comitato locale, che si coordinava a livello regionale con gli altri comitati (CRAN), e solo più tardi si è creato un coordinamento antinucleare nazionale dove a poco a poco si sono inseriti i politicanti.
A livello di gruppi organizzati tutto girava attorno ai comitati antinucleari. Al di fuori, ed è quello che vedremo in seguito quando parleremo delle azioni, c’erano molti gruppi di affinità che si muovevano contro il nucleare con altri mezzi, non solamente democratici. A partire dal coordinamento ufficiale le persone si conoscevano fra loro, per affinità. Sapevamo chi sarebbero stati i futuri candidati, come per esempio fra gli ecologisti, ma conoscevamo anche persone più discrete, intenzionate ad attaccare direttamente gli interessi della società capitalista che voleva imporre il nucleare nella loro regione. E poi ci si coordinava anche semplicemente perché in tal luogo o tal altro c’era qualche militante libertario.
All’inizio si è trattato per lo più di un’opposizione legale, quella dei comitati, del CAN, di alcuni sindaci che partecipavano alla lotta, e soprattutto della popolazione. L’opposizione dell’inizio è quella che si manifesterà meglio quando, nel 1980, verrà fatta l’inchiesta di utilità pubblica. 

Malville, 31 luglio ’77: dal tuo racconto sembra che questa data rappresenti un momento di svolta importante nella lotta antinucleare, un punto di rottura e di trasformazione che cambia profondamente la prospettiva delle dimensioni dello scontro… 

L’appuntamento a Malville fu lanciato non appena si seppe che lì volevano costruire una nuova centrale sperimentale. Alla chiamata rispose moltissima gente da tutta la Francia, perché l’eco di questa lotta era molto vasta all’epoca. Il movimento ecologista e antinucleare lanciò la proposta di fare un’assemblea e un incontro, da cui emerse l’idea di entrare e occupare il sito. In tanti abbiamo partecipato a questa manifestazione in modo gioioso, pacifico. Anche se c’era gente determinata a entrare a ogni costo nel sito, nessuno si sarebbe mai immaginato la reazione degli sbirri in tenuta antisommossa che attaccavano la gente lanciando granate. Era la guerra. Questa manifestazione è stata una delle più grandi disillusioni del movimento antinucleare: ci si è resi conto che le grandi azioni pacifiste avrebbero causato morti e feriti. Ci fu un morto, un professore che era lì a manifestare come tutti quanti, si chiamava Vital Michalon: fu ucciso dallo spostamento d’aria provocato da una granata lanciata dagli sbirri. Non ci sono stati mica scontri, questo è l’argomento preferito della stampa borghese, quando si è attaccati dalla celere non ci sono scontri, gli sbirri ti tirano le granate e ti menano con i manganelli. Dov’è lo scontro? I soli celerini feriti ci sono stati perché a uno è scoppiata una granata in mano. In questi casi c’è poco da dire, la violenza è da una parte sola. Ci sono state delle forme di autodifesa, ma decisamente marginali se pensiamo all’insieme delle centomila persone che partecipavano alla manifestazione.
Quello che dobbiamo analizzare è il cambiamento di rotta del movimento antinucleare, o almeno di una parte, a partire da quel momento. Ci siamo resi conto che continuare con queste grandi manifestazioni pacifiste contro il nucleare avrebbe voluto dire andare a farsi spaccare la faccia e basta. Da Malville la gente è tornata con molta rabbia, e io credo che sia proprio da quel giorno che parte del movimento antinucleare si è radicalizzato nei metodi. La riflessione che seguì fu aperta, nazionale, e permise di arrivare alla conclusione che non era con i metodi pacifisti e non violenti che avremmo bloccato lo Stato, gli interessi di EDF e i loro progetti di una società nuclearizzata, con tutto quello che comporta: una società militare, poliziesca. Perché non bisogna mai separare il nucleare civile dal nucleare militare, è il primo che alimenta il secondo: il plutonio lo fanno le centrali civili, non esistono centrali speciali solo per il militare. È evidente che lo Stato decide di sviluppare il nucleare per degli interessi finanziari. Cos’è il nucleare? È un’energia centralizzata, e quindi controllata. Non ci sono solo gli interessi di EDF ma anche quelli dello Stato, a cui questo va bene perché così è più facile controllare tutto.
Dopo la manifestazione ci sono state un po’ dappertutto azioni di collera, anche a Malville, e nelle settimane seguenti sono state distrutte parecchie vetrine e macchine di EDF. Questa fu la risposta, non ci furono delle azioni un po’ più radicali e organizzate. Per intenderci, nella lotta antinucleare ci sono sempre state, fin dall’inizio e un po’ dappertutto, delle azioni, delle piccole azioni. C’è sempre stata un’opposizione radicale, soprattutto contro l’obiettivo più importante, cioè EDF. È sempre stato chiaro che il bersaglio era EDF, perché è questa che attraverso lo Stato costruisce le centrali e le sfrutta; proprio per far sì che potesse vendere le centrali nucleari in Francia hanno fatto la politica del “tutto elettrico”. Questo vuol dire che oggi, se staccano la corrente, in inverno non c’è più riscaldamento, a differenza di una volta quando c’erano i caminetti, le stufe a legna e le costruzioni erano più isolate da muri spessi ecc. Dietro al nucleare c’è tutta una politica non solo finanziaria, ma soprattutto di controllo sociale. Perché, e lo sappiamo molto bene, dietro il nucleare c’è l’esercito e EDF ti racconta solo balle. È storico, se analizziamo un po’ la storia del nucleare vediamo che è sistematico, scegliere il nucleare vuol dire scegliere un tipo di società: la società nucleare, con tutto quello che comporta. 

Di pari passo alla repressione il potere utilizza sempre mezzi di propaganda e di suadente quanto fasulla chimera di partecipazione democratica alle decisioni importanti. E questo di solito si affianca a un avanzamento parallelo dei lavori, in modo che la cosiddetta concertazione con le popolazioni finisca sempre col trovarsi davanti ai cantieri già avanzati. Come si mosse EDF, e come rispose il movimento? 

Nel caso di costruzione di una centrale nucleare il committente dell’opera, cioè EDF, è obbligato dallo Stato a fare un’inchiesta di utilità pubblica, per vedere se la gente è pro o contro il progetto, per raccogliere le obiezioni, ecc. Non è una raccolta di firme, è, come dire, un quaderno ufficiale dove la popolazione può scrivere i propri commenti, se sono a favore della centrale e perché, se sono contro e perché, insomma è un dossier di parecchie pagine che per un po’ di tempo doveva essere consultabile da tutti ed era fatto per dare la possibilità, o almeno questo era previsto dalla legge, alla gente di dirsi pro o contro il progetto.
Quest’inchiesta, che durava circa un paio di mesi, doveva svolgersi nei comuni interessati e se i sindaci gli negavano il diritto di avere una sala del municipio EDF installava, con l’autorizzazione del prefetto, un furgone chiamato “Comune annesso” che diventava luogo pubblico. In questo furgone ci mettevano un tavolino con le sedie e un registro, e tu andavi là. Ebbene, visto che tutti i comuni coinvolti avevano rifiutato di ospitare l’inchiesta, EDF girava dappertutto con ’sto furgone e dieci camionette di gendarmi al seguito.
Anche noi compagni e compagne di Tolosa siamo andati lì per opporci all’inchiesta. In pratica basta che uno strappi una pagina e il registro non è completo. Devono verbalizzare che il registro alla tal ora, alla tal pagina, è stato rovinato da una tal persona, e siccome non era prevista una giustizia a latere dell’inchiesta, questo ha creato dei problemi. Il registro poi è stato incatenato, come a Plogoff, e c’è stato qualcuno che è riuscito a fregarlo e a portarlo fuori. Era così frequente che a un certo punto hanno messo un gendarme che ti teneva le pagine mentre scrivevi, se avevi qualcosa da scrivere, e nonostante questo c’era qualcuno che riusciva a strappare le pagine con la penna. A volte così si rendeva nullo il registro. E poi ci sono state anche delle manifestazioni con scontri, insomma c’era un clima di ostilità permanente contro l’inchiesta e ovviamente contro i gendarmi preposti al controllo, che provocavano. Di problemi ne avevano sempre e dappertutto.
Ma poi, si sa, l’inchiesta era solo una procedura formale obbligatoria per EDF, e anche se la maggior parte della gente era contraria, alla fine il governo decise a prescindere, e, difatti, decise per il sì. L’inchiesta è stata una bufala, alla fine il governo ti dice che è per gli interessi della nazione e bla bla bla, te la condiscono con queste frasi. Non per niente durante l’inchiesta continuavano a espropriare, a sgomberare e a demolire le fattorie. Quando EDF aveva cominciato ad acquistare i terreni nel futuro sito di Golfech, aveva appena avviato la domanda di esproprio per causa di utilità pubblica, e ciò dimostrava che la centrale sarebbe stata costruita, con o senza le autorizzazioni. EDF avrebbe dovuto avere in mano l’approvazione della domanda di utilità pubblica per cominciare a costruire, ma in realtà fece fin da subito quello che voleva, come sempre: cominciò a costruire prima di ottenere le autorizzazioni. È sempre la stessa storia. Se vogliamo, è lo stesso metodo che si applica in Palestina, gli israeliani cominciano a costruire le colonie e dopo viene richiesta l’espulsione degli altri estranei, i palestinesi autoctoni. Ma torniamo in Francia: essendo pratiche separate lo Stato doveva dare prima l’assenso alla domanda, e poi l’assenso per costruire. Per quest’ultimo ci sarebbe stato bisogno di molti dossier, ma nei fatti EDF metteva di fronte al fatto compiuto, perché nel frattempo era andata avanti sgomberando la gente, preparando il sito, cominciando a costruire a tutti gli effetti. Tanto sapeva che l’autorizzazione sarebbe arrivata.
Dal canto loro la maggior parte dei comitati invitava massicciamente a intervenire sull’inchiesta per opporsi alla centrale, ma è stata una lotta di un momento specifico, un momento fra tanti. I comitati antinucleari e i gruppi di opposizione in quel periodo erano già sviluppati, ma credevano ancora che si potessero fermare i lavori democraticamente e hanno fatto tutto il possibile, nei limiti della democrazia, per opporsi. È stato fatto anche un referendum… è stato fatto tutto quello che la democrazia ti consente di fare: puoi uscire per strada, firmare, unirti ad altri e poi andare dal governo e da EDF a mostrare le firme dicendo: “guardate, siamo in molti ad opporci”. Ma sappiamo come funziona. Questa è la speranza illusoria che dà la democrazia, non per niente queste pratiche erano molto seguite da gente che poi ritroveremo in carriera politica: si conserva la speranza che in questo modo si può vincere, e ci si rifiuta di vedere che anche se siamo la maggioranza è lo Stato alla fine che decide, e se ne fotte della vita della gente. Le lotte in questo periodo erano queste, opporsi all’inchiesta, far firmare a migliaia di persone petizioni contro la centrale e organizzare incontri, come per esempio le domeniche a Valence d’Agen. C’era anche una roulotte antinucleare, che poi è stata bruciata dai pro-nucleare. Per dirti che ci sono stati molti tipi di azioni, più o meno nei limiti della legalità. Potevi dire: “sono contro”! Beh, bene…
Ma questo, secondo me, fa parte del gioco. Comunque, c’era anche gente che se ne fregava dell’inchiesta, consapevole del fatto che alla fine è lo Stato che decide. Io e altri compagni libertari non ce ne occupavamo più di tanto. Ci fosse stata una possibilità che servisse a qualcosa, ce ne saremmo resi conto. Ma parallelamente succedevano anche molte altre cose. Al di là della lotta di Golfech c’erano persone indipendenti che da sempre facevano un po’ dappertutto sabotaggi contro il nucleare. Dopo Malville c’è stata una crescita esponenziale di questo tipo di azioni, come bruciare le macchine di EDF, spaccargli le vetrine dei locali… e poi la gente incominciò, a un certo punto, a far saltare con l’esplosivo i tralicci dell’elettricità, i locali di EDF, a colpire quindi EDF soprattutto, ma anche qualche piccola ditta che lavorava per il nucleare. Tutto questo è la conseguenza della manifestazione di Malville, della riflessione dopo Malville. Nasce una sensibilità antinucleare che inizia a chiedersi: perché non usare altri mezzi per attaccare il nucleare? 

Continua qui

Note
1: Èlectricité de France, l’equivalente dell’ENEL in Italia.
2: Valéry Giscard d’Estaing, liberale, è stato presidente della Repubblica francese dal 27 maggio 1974 al 21 maggio 1981. 
3: Abbiamo preferito non tradurre questa parola perché non abbiamo trovato un termine italiano con la stessa accezione. Termine gergale, indica genericamente un gruppo di persone che si riconoscono in una pratica o in una prospettiva di lotta comune.

08/03/12

LadyCore - 1 - Livore, Gather, Downright


"Hardcore is not for ladies"

Quante volte abbiamo sentito questa enorme cazzata carica di sessismo preconcetti e di una latente cultura machista degna dei though guy americani ultrapalestrati che cantano sforzando ogni muscolo del proprio corpo per far vedere quanto sono duri e puri e quanto sono forti?
A me personalmente questa cosa ha sempre fatto girare i coglioni, sarà perché mi è sempre stato sul cazzo il sessismo (che sia maschilismo o che sia femminismo, poco m'importa, il femminismo è morto e non ha più senso di esistere, ma non è certo questo il discorso che voglio fare ora quindi non intendo continuarlo), sarà perché mi sono sempre stati sul cazzo gli stereotipi, fai musica potente devi essere potente, sei gay devi fare musica "da frocio" e blablabla e blablabla e vaffanculo a tutti.
Proprio per questo ho deciso di fare una piccola raccolta di qualche gruppo in cui cantano delle ladies e di piazzarlo qua, giusto per ricordare che l'hardcore non è una cosa solo per maschi, giusto per ricordare che l'hardcore non è soltanto musica, e allora invece che dirlo e basta, facciamo anche nel concreto qualcosa per quello in cui si crede.


Gruppo abruzzese, canta Valeria, tematiche anarchiche, sociali e antispeciste, musicalmente si tratta di un hardcore moderno, con influenze metal, qualche apertura melodica, a tratti più pestato, a tratti più veloce, attivi da qualche anno, hanno pubblicato un Demo nel 2010 e Allevatori Di Morte nel 2011. Ottimo gruppo sono decisamente curioso di vederli dal vivo perché ancora non sono riuscito.

Download (volendo potete scaricare pure dal sito, direttamente)



Gruppo californiano di metà anni 2000 che adoro, decisamente. Vegan Straight Edge di matrice anarchica, i Gather fanno un hardcore metal molto influenzato dal metalcore degli anni '90, mi riferisco in particolare a gruppi come gli Unbroken, a tratti più metallone, a tratti più tirato, anche con giri a note singole più prettamente metalcore recente. Hanno pubblicato tre dischi (che io sappia) ovvero uno split coi Seven Generations (altro gruppone), del 2005, un EP, Total Liberation (forse il migliore, a mio avviso, anche se non si capisce se sia del 2004 o del 2005), e un LP, Beyond The Ruins, del 2006. La voce di Eva è forse tra le voci femminili che mi piace di più, potente, piena, urlata, si sente decisamente che quando canta da tutto.



Portiamo un po' più di velocità a questo post. I Downright sono, o per meglio dire erano, una fantastica perla di questo italico paese dimmerda. Attivi da fine anni 90/inizio 2000, il combo genovese ha sfornato 3 dischi e partecipato a qualche compilation (le compilation non le menziono sennò è la fine). Il primo disco fu un 7" omonimo, ormai assai raro da reperire (il buon vecchio Biba forse ne ha ancora qualche copia), che risale al 2000, segue uno split coi FlopDown, di Viterbo, del 2002, se non sbaglio, e poi segue l'ultimo disco, del 2006, La Battaglia Del Silenzio. Musicalmente i dischi sono tutti diversi l'uno dall'altro. Il primo 7" è molto grezzo, un HC vecchia scuola che riprende a piene mani dal militant HC italiano degli anni '90, la velocità non è mai elevatissima, la voce della Patty è urlata, un po' sforzata ma sempre e comunque comprensibile, rimane pulita. Personalmente le canzoni che preferisco sono Ovunque Tu Guardi e Tela Di Ragno, le ultime due, proprio perché la voce sfocia in urla più viscerali, meno pulita, ma più sentita (a mio avviso, chiaramente, ma poi io sono un amante delle corde vocali dilaniate per cantare). Nello Split coi FlopDown invece prevale questo aspetto (infatti queste sia Ovunque Tu Guardi sia Tela Di Ragno sono presenti nello split), ho già descritto quindi l'aspetto vocale, musicalmente dall'HC vecchia scuola del primo 7" passiamo a un hardcore più tirato, tendente al fastcore per alcuni versi, la velocità è comunque generalmente più elevata. Ne La Battaglia Del Silenzio invece cambia ancora tutto. Vocalmente è il disco più vario, generalmente infatti la voce è meno urlata, quasi come se fosse un cantare ad alta voce e basta, con voce un po' roca, a tratti tuttavia sfocia ancora nell'urlato, a tratti quasi melodica (non prendetelo come un difetto, in questo caso, anzi, rende decisamente). Musicalmente si torna ancora a un HC vecchia scuola abbastanza tirato, con vari cenni (omaggi) ai Black Flag, sicuramente è il disco registrato meglio e più maturo. Una nota di merito per gli intro, fantastici. Le tematiche vanno dal personale al sociale all'antispecismo.


P.S. Questa è la prima puntata di un qualcosa che spero vada avanti nel tempo.