22/02/12

Russia - Ucciso Un Anarchico Antifascista

da informa-azione

fonte: avtonom.org
trad. in spangolo: es.contrainfo.espiv.net
trad. Culmine

Alle 6.30 della mattina del 9 febbraio, un portiere ha trovato nella zona circostante l’istituo FIAN il cadavere di Nikita Kalin, nato nel 1991. La polizia, giunta sul posto alle 8.00, alle 11.00 ha informato la madre dell’assassinio del compagno. Nikita è stato pugnalato 61 volte, inoltre aveva diverse fratture alle costole ed anche la testa presentava delle ferite. Gli assassini non avevano rubato nulla. Per il momento, la polizia ha arrestato un sospetto, i cui vestiti avevano macchie del sangue di Nikita.

E’ ovvio che Nikita è stato attaccato da un gruppo. In via non ufficiale la polizia ha informato la madre che il sospetto, arrestato, è un nazi e che non fornirà ulteriori informazioni sugli altri sospettati. Nonostante la ferocia dell’assassinio, la polizia non ha ancora interrogato la madre di Nikita né un suo amico, che è stato l’ultimo a vederlo. Per questo si sospetta che si cercherà di coprire il caso, come frequentemente avviene in Russia. Ciò nonostante, il sospetto ha già un avvocato.

Si teme che le indagini della polizia si stiano orientando a favore dell’arrestato, per questo c’è bisogno di tutto l’appoggio possibile. Attualmente, una organizzazione per i diritti umani ha offerto un appoggio giuridico fornendo un legale, ma c’è ancora bisogno di denaro per le spese del funerale.

Nikita proveniva da una semplice famiglia di lavoratori e non ha mai nascosto le sue idee antifasciste ed anarchiche. Se volete aiutare gli amici e la famiglia nella raccolta del denaro necessario per il funerale, lo si può fare attraverso la Croce Nera Anarchica di Mosca cliccando qui.


Nikita in un presidio antielettorale, con un cartello in cui si può leggere: “Non abbiamo bisogno di nessuna autorità! Libertà o morte! Il nostro candidato è l’autogoverno!”

20/02/12

Chokehold - Instilled


Gruppo decisamente importante per tante cose, i Chokehold.
Li ritengo parecchio interessanti sia per quel che suonavano sia per quel che dicevano.
Quindi per questo disco proverò a fare una cosa nuova.
Scriverò per ogni canzone l'introduzione, scritta dagli stessi Chokehold, così che tutti gli interessati possano leggerla, non le tradurrò in italiano perché non sono un gran traduttore, capisco il senso ma non sono bravo a tradurre, e dato che ormai con internet gli strumenti per poter comprendere una frase in inglese ci sono tutti, lascio fare a voi, anche perché penso che in questo modo le parole siano decisamente più incisive e genuine.
Per i testi, invece, vi rimando a questo link, in cui ci sono tutti i testi delle canzoni, così potete anche leggere direttamente quelli.
Ok partiamo con l'introduzione al gruppo quindi, non mi dilungo eccessivamente perché un amico lo ha già fatto quindi rimando all' articolo sul suo blog se vi interessano informazione più dettagliate. Mi limiterò a citare il fatto che sono un gruppo Anarcho Vegan Straight Edge nato nel 1990 in Canada, scioltisi circa 7 anni dopo.
Sicuramente furono tra i gruppi più influenti tra il metalcore 90's, o chugga chugga, come lo chiamiamo noi del ghetto.
Questo ritengo sia uno dei loro dischi più belli e rappresentativi, assieme a Content With Dying, dell'anno successivo.
Generalmente questo disco presenta un suono di chitarra abbastanza distorto (non eccessivamente, però, si riescono ancora a comprendere le note, senza rendere caotico e troppo impastato il suono, per intenderci), una batteria in cui si sente soprattutto il rullante, ma che comunque non viene eclissata dal resto, una voce urlata, senza sfociare nello sbraitato. La velocità non è mai elevatissima, non per i miei standard, diciamo, e ci si alterna tra parti più lente e parti più veloci, molto veloci per il genere. I giri di chitarra utilizzano spesso il palm mute, dando più pesantezza al suono, e sono comunque in genere fatti su note basse. È presente anche qualche apertura melodica nei riff. Il basso non è sempre ben distinguibile, ma fa il suo sporco lavoro (ora la Rika mi uccide perché ho associato "sporco" a "basso").

we don't care what you think of us, we don't care if we rub you the wrong way, but we want to offer a little more than the average straight edge band. we'd like to create thoughts, we want to deal with issues that are real. straight edge should mean a little more than screaming the word go and singing songs about friendships gone bad or the pain inside. music is a weapon. it's the best way of spreading ideas and we feel if we had nothing more than our personal life to sing about then it would be totally senseless and irrelevant, cause the world doesn't revolve around only us and there are greater problems at hand. silence equals death in more ways than one.

Le canzoni sono 5 quindi vado direttamente ad analizzarle una per una.

Burning Bridges
La canzone inizia con un giro di basso, subito entra la chitarra e parte la canzone, che si alterna tra parti più lente e pestate e parti più veloci.

veganism and animal liberation are very important, so is the way you spread the message. forcing your views down someone's throat with the attitude of "our way or no way" can and will turn people off your ideas. we have to create bridges to communicate not burn them down

Mindset
Canzone decisamente più corta della prima. Parte velocissima (da prendere coi ferri il "velocissima" dato che si tratta pur sempre di metalcore 90's, non aspettatevi un blast beat eh, ndL), per poi rallentare nella seconda parte.

this song is directed at those who have the audacity to claim what is natural or what is wrong and right when it comes to relationships. it's time to realize love goes beyond some pre-set religious values.

Instilled
Questa canzone è caratterizzata prevalentemente da due cose, prima di tutto che è tutta lenta, ma anche, e soprattutto, dal fatto che ha due voci, una delle quali in certe parti fa il controcanto alla voce principale, in altre fa un discorso,, parlato, che si sovrappone alla voce principale.

we're told how to live, what we can achieve and what we can and cannot do. we are limited in our freedom. our society is made so we constantly are running in circles to make ends meet, never realizing that this rat race is pointless. told the only way is their way and any other is bound to fail. instilled with "their" values, "their" ideas.....we have minds but are urged not to use them

Anchor
Canzone lenta e pestata, all'inizio, poi parte col classico tupatupa (con, alla fine di ogni giro un bel palm mute pestatissimo). Ben presente in questa canzone il basso (Rika, mi sono fatto perdonare, visto?).

religion like any drug is a dependency, far from harmless. imposing their views, morals and standards on the rest of us. why is it accepted in the punk/h.c. scene? [especially the straight edge scene] what can sexism, spiecism and homophobia have in common with punkrock or hardcore?maybe it's time we stopped accepting things so blindly. maybe it's time you asked for some proof.


Culture Cease
La canzone inizia con la batteria subito seguita dalla chitarra con accordo ribassato e pestatissimo. In sottofondo la chitarra fa degli arpeggi, che conferiscono in parte un apertura melodica al giro. Tutta la canzone rimane lenta e pestata, nessuno spazio alla velocità, qua.

it seems nearly impossible for a culture other than the whiteman's to exist. constant struggle for freedom and rights are seized as they forse these culture to the brink of destruction. they'll make sure no other ideas are heard but theirs.

Questo disco quindi non è decisamente un disco "veloce", ma è un disco a mio avviso comunque meraviglioso e veramente significativo, sicuramente una pietra miliare per tutto il metalcore degli anni 90, soprattutto per il filone vegan straight edge.





Tracklist:
1- Burning Bridges
2- Mindset
3- Instilled
4- Anchor
5- Culture Cease

Download

P.S. Il libretto del disco è stampato con carta riciclata. Piccolissima dimostrazione di come le parole si supportano con le azioni.
P.P.S. Per errori correzioni ecc ecc fatelo presente.

15/02/12

Matinée Contro La Repressione - Bologna - 11 Marzo

Per la serie "Cachiamo il cazzo alla gente coi concerti a cui deve partecipare".






Concertone l'11 marzo a Bologna, lo segnalo perché chi non viene è una merda

Matinée contro la repressione
Benefit per i compagni di Fuori Luogo sotto processo per associazione a delinquere
Inizio ore 18 + aperitivo vegan
Suoneranno
Prune Belly (Trento Hardcore)
Left In Ruins (Trento Hardcore)
Polpo Polpo (Storica Band Fishcore, molto hard, discretamente punk)
CxIxDx (Bologna Volti Coperti-core)
La Congiura (Rovereto Hardcore)
Ludd (Rovereto Hardcore)

Al Casalone, via S. Donato n.149
Per raggiungere il posto dal centro:
Autobus 20 direzione Pilastro
Fermata San Donnino, 100 mt più indietro, locale rosso

Porta la distro, lascia a casa il cane
NAZI PUNX FUCK OFF

Spammacome se non ci fosse un domani, anche perchéééééééé un domani non c'èèèèèèèèèèè (cantata sulle note di una canzonemelodica qualsiasi, basta che abbia le note lunghe)
Precisiamo, i ragazzi che hanno organizzato son bravi ragazzi, un po' cagacazzi, ma bravi ragazzi (perché gli voglio bene, ma loro mi picchieranno per questo).
I gruppi sono fighi, il motivo è dei migliori, il momento è perfetto, cazzo vuoi di più dalla vita?
(Chi risponde "Un Lucano" verrà accoltellato brutalmente dal cane di un pancabbestia)

Ricapitolando, vieni o la tua casa brucerà.

08/02/12

La Canaglia a Golfech - Introduzione - Seconda Parte


Segue da qui


Se Malville, dunque, può essere considerata la prima svolta del movimento antinucleare di quegli anni, la vittoria socialista alle elezioni del 1981 ne costituisce sicuramente la seconda. La falsa promessa di Mitterrand di bloccare la costruzione delle nuove centrali riuscì a sfibrare la resistenza antinucleare, a relegarla prima nell'attendismo e poi nel più nero disfattismo. Infatti, laddove l'intervento dei CRS (i celerini francesi) non era riuscito a fiaccare l'opposizione, l'azione di recupero messa in atto dal partito socialista fece il resto, spaccando il movimento e indebolendo irrimediabilmente le lotte in tutta la Francia. Le strategie di recupero consistevano, e consistono tuttora, in quelle forme di controllo e manipolazione che hanno lo scopo di depotenziare le lotte creando false aspettative, conducendo i movimenti verso obiettivi secondari, oppure spingendo le popolazioni a delegare alla politica istituzionale la soluzione dei problemi. In particolare, in quegli anni in Francia emerse nitidamente il ruolo della sinistra e dei movimenti ecologisti istituzionali: furono questi i cavalli di troia dell'industria nucleare all'interno del movimento di opposizione. Il partito socialista, con le sue manovre, riuscì a disinnescare le proteste e a garantire la realizzazione del progetto nucleare. Il prezzo fu quello di concedere una vittoria di Pirro: l'abbandono del progetto della centrale di Plogoff.

La storia di Golfech la lasceremo scorrere direttamente nelle pagine successive, suggerite dai racconti e dalle emozioni di un' intensa chiacchierata con un compagno che visse quel tempo. Vogliamo invece soffermarci su alcune riflessioni che quei racconti ci hanno suggerito.
Innanzitutto, lo scontro tra gli oppositori e i promotori di un progetto nucleare specifico non dovrebbe iniziare con la posa della prima pietra. I nuclearisti, che sanno quanto le loro imprese siano generalmente osteggiate, operano per quanto possibile in segreto e nascondono le loro reali intenzioni. Da questo punto di vista l'esempio della costruzione della diga di Malause, citato nell'intervista, è illuminante: alcuni anni prima della realizzazione della centrale venne costruita questa grande opera; nessuno era a conoscenza della sua reale destinazione, cioè fornire l'acqua di raffreddamento per la centrale, e di conseguenza non vi fu opposizione alla sua costruzione. Fare chiarezza su come sviluppare la lotta al nucleare, fin dal principio, è quindi fondamentale per non permettere alla controparte di ridurre il tempo della conflittualità. Uno studio di ricognizione sarebbe invece il primo passo da compiere, per smascherare la complessa rete di interessi e responsabilità che si nasconde dietro il progetto nucleare (gli istituti di ricerca, gli interessi dei grandi gruppi industriali, gli specialisti pagati per influenzare l'opinione pubblica, la connessione tra produzione di energia nucleare e la corsa agli armamenti). Da qui può trovare sbocco concreto quella conflittualità permanente che è la caratteristica distintiva degli oppositori radicali. Si tratta di sviluppare una progettualità chiarendo gli obiettivi, per evitare di farsi indirizzare nei binari morti predisposti dal dominio.
Un altro aspetto che emerge chiaramente dal racconto è che le lotte contro il nucleare degli anni Settanta-Ottanta furono caratterizzate dalla brutalità della repressione. Gli attacchi a freddo contro manifestazioni pacifiche e l'uso di armi offensive da parte della polizia si verificarono in tutta Europa. Non c'è però da stupirsi di tale brutalità a difesa del nucleare perché la scelta stessa del nucleare è pregna di violenza. Lo è in quanto centralizzazione energetica: ci rende dipendenti dalle lobby che lo gestiscono. Lo è in quanto controllo poliziesco: i siti interessati dal nucleare sono aree sottoposte a perenne stato di eccezione. Lo è in quanto tecnologia militare: le vicende del nucleare civile e militare sono connesse e permeabili. Il nucleare è violento perché, portando in sé il rischio di incidenti di proporzioni catastrofiche, è una perpetua minaccia al vivente. Una violenza che rischia di espandersi nello spazio, perché il nucleare non conosce confini, e anche nel tempo, dato che la radioattività mina l'esistenza delle generazioni future. Se l'incidente di Chernobyl ha rallentato per decenni lo sviluppo del nucleare, è stato al contempo anche un grande esperimento a cielo aperto, che ha permesso di sviluppare delle tecniche di controllo sulle popolazioni irradiate. Il ritorno all'atomo paventato dal cosiddetto "risorgimento nucleare" si fonda, infatti, anche su questa dottrina del controllo. I governi possono ora prendersi il rischio di realizzare nuove installazioni nocive, non tanto perché siano riusciti a scongiurare i pericoli dell'atomo, ma erché sono convinti di poter controllare le popolazioni colpite da un incidente nucleare. Il futuro che ci aspetta è quello di essere sottomessi a un sistema che si sta specializzando sempre più nella gestione militare di quei disastri che esso stesso provoca. Per questo violenta è innanzitutto l'epoca in cui viviamo, fondata sul monopolio della forza da parte di apparati specializzati. Ma la violenza più grande che dobbiamo subire è la violenza quotidiana di non poter decidere della nostra vita, è che qualcuno stabilisca quante radiazioni dobbiamo assorbire.
Oggi il cosiddetto pacifismo diffuso nella nostra società posta solo alla giustificazione ideologica del monopolio della violenza da parte del dominio. Non a caso i primi a dichiararsi pacifisti sono i militari che "portano la pace nel mondo" e i politici che "deplorano la violenza", mentre stanziano fondi per le guerre e riempiono, sempre più, le strade di militari e polizia. Il preteso pacifismo diffuso nei movimenti di opposizione è un semplice paravento per nascondere la passività di fronte alle devastazioni del capitale, alla violenza dello Stato e agli imbrogli della politica. Proprio questa mentalità spinge verso pratiche che si sono dimostrate fallimentari: dalla raccolta di firme alla formazione di osservatori tecnici, dalla creazione di liste civiche fino all'accettazione di compensazioni in cambio della realizzazione delle opere. Perché si possa sviluppare una seria opposizione al nucleare è necessario, incece, criticare questa mentalità, diffondendo forme di auto-organizzazione al di fuori di partiti e sindacati, e sviluppando pratiche come i blocchi, l'autodifesa e i sabotaggi.
È evidente che nella lotta contro il nucleare è necessario utilizzare la forza, ma se ci adoperiamo per fare uscire la violenza dalla sfera dei tabù, nella quale l'ha relegata l'ideologia del dominio, dobbiamo fare attenzione a non collocarla in quella del mito. Un conto è essere disposti a fare uso della violenza, un altro è attribuirle un valore di per sé positivo, che non ha. Un' azione violenta può risultare utile, inutile o dannosa per la lotta, come qualsiasi altro tipo di azione. Il ricorso agli attacchi simbolici e spettacolari, ad esempio, corre il rischio di cadere nell'autorappresentazione, e per questo rimanere staccato dallo sviluppo delle lotte.
La storia di Golfech è una miniera di suggerimenti, sia teorici che pratici. All'epoca vi furono azioni dirette di massa, come l'invasione dei cantieri e la distruzione dei mezzi e delle opere, venne praticato il sabotaggio "industriale" da parte di gruppi di affinità che inflissero dei forti danni materiali alle ditte, e infine venne attuala l'autodifesa contro le violenze e le intimidazioni mafiose della polizia e dell'industria nucleare. Quest'esperienza ci insegna che un' azione ben fatta si rapporta con il livello dello scontro raggiunto dalla lotta, parla al movimento, cade con precisione nel tempo. Nessun individuo, organizzazione o gruppo possiede da solo la forza per contrastare i progetti legati al nucleare: il rapporto tra i piccoli gruppi di azione diretta e il movimento allargato è senza dubbio l'elemento più interessante che emerge dai racconti di Golfech, un' indicazione che resta valida per sviluppare le lotte che ci aspettano.


alcune canaglie

La Canaglia a Golfech - Introduzione - Prima Parte

Sto leggendo questo libro, ho trovato l'introduzione molto interessante, quindi ve la propongo.
Purtroppo non l'ho trovata su internet quindi mi è toccato copiarla tutta manualmente (fanculo, dio porco).
Se avrò voglia e tempo posterò anche il resto del libro, in futuro.
  
La Canaglia a Golfech
storia di una lotta antinucleare

Introduzione


Tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta la crisi energetica spinse diversi Stati europei a orientarsi verso la produzione di energia atomica e, di conseguenza, a disseminare l'intero continente di centrali nucleari. L'opposizione a questi progetti diede vita a una storia in cui si intrecciano speranze e delusioni, manifestazioni oceaniche e cariche della polizia, tralicci abbattuti e braccia spezzate. Questa storia è anche nostra, il passato dal quale veniamo e del quale spesso non restano che labili tracce. Se ci siamo impegnati a recuperare queste testimonianze, e in particolare quella della lotta contro la costruzione della centrale nucleare di Golfech, non è certo per consegnarle alla polvere degli archivi, ma perché diventino una bussola per orientarci nel presente: nutrirci delle esperienze passate ci rafforzerà per affrontare le lotte che ci aspettano.

La storia del movimento antinucleare in Francia comincia all'inizio degli anni Settanta, quando, appunto, lo Stato francese decise di intraprendere la costruzione di tredici centrali nucleari da avviare entro il 1980. Dopo la seconda guerra mondiale il governo francese si era impegnato in una politica organica di industrializzazione e aveva creato nuovi organismi per garantire produzione e consumo di massa, fra cui il Commissariato per l'energia atomica (CEA), che doveva gettare le basi per uno sviluppo del nucleare in ambito militare e civile, In questo periodo di euforia scientista il nucleare incarnava l'idea del progresso e rappresentava una risposta burocratica, industriale e centralizzata al fabbisogno energetico. Lo choc petrolifero del 1973 rappresentò una fortuna insperata per il potere: in Francia tutta la classe politica approvò il lancio del programma nucleare civile su larga scala. Immediatamente, per prevenire un' eventuale opposizione, furono create alcune agenzie come la SFEN (Société française de l'énergie nucléaire)¹, un vero e proprio organo di propaganda per diffondere una "cultura del nucleare" negli ambienti della ricerca e universitari, religiosi, giuridici e parlamentari. A questa si affiancò ben presto il SCISN(Service central de sûreté des installation nucléaires)² che ebbe il compito di garantire la sicurezza degli impianti, e insieme al SCPRI (Service central de protection contre le rayonnements ionisants)³, formarono il principale dispositivo a difesa dell'industria nucleare e furono tra i principali negazionisti della catastrofe di Chernobyl.
A partire dal 1974, ovunque fosse prevista la costruzione di una centrale o l'ampliamento di una già esistente, come nel caso di Chooz, si crearono forti mobilitazioni: le più note furono quelle di Blayais nella Gironda, di diversi paesi della Bretagna tra cui Plogoff, e di Golfech nel Tarn-et-Garonne. L'estendersi di queste lotte rappresentò, almeno nei primissimi anni un ostacolo concreto alla "politica del fatto compiuto". Ma andiamo con ordine.
All'inizio il movimento anti-nucleare ebbe un carattere prettamente pacifista. L'illusione di poter fermare un progetto di tale portata con la sola indignazione civile non mise in conto che lo Stato francese aveva l'intenzione di imporre questo nuovo modello di società nucleare con la forza, impiegando ogni mezzo possibile. È con la mobilitazione nata attorno alla centrale di Malville, nel 1977, che questo limite si rivelerà essere tragico di conseguenze. Il 31 luglio di quell'anno circa cinquantamila manifestanti si ritrovarono nella piccola cittadina francese, pronti a occupare il sito. Le giornate che precedettero la manifestazione furono segnate dalla vaghezza dei propositi di un movimento pronto a invadere i cantieri, senza capire esattamente come, e dalla presenza di una rappresentanza autoproclamata della lotta pronta a sfruttare politicamente l'evento. Gli organizzatori della manifestazione sottovalutavano l'ipotesi di uno scontro diretto con la polizia, messa a presidiare il sito. I gas lacrimogeni, i manganelli e le granate lanciate dagli sbirri, che provocarono la morte di un manifestante, chiarirono in un sol colpo quale fosse il vero livello di conflitto a cui era disposto lo Stato. La rabbia che seguì quelle giornate alimentò una riflessione in seno a buona parte degli antinuclearisti sulla portata di questo tipo di lotta, provocando una netta frattura nel variegato movimento giunto a Malville in quei giorni. Da una parte i professionisti dell'ecologismo, che ritroveremo nelle fila socialiste dopo l'elezione di Mitterrand nel 1981, sfrutteranno le lotte antinucleari come trampolino di lancio per la loro futura carriera politica. Dall'altra, il movimento eterogeneo formato da militanti e comitati cittadini si radicalizzerà nelle pratiche e negli obiettivi. La consapevolezza che lo Stato francese era pronto a difendere i propri interessi con le armi fece riflettere su quali fossero realmente i mezzi a disposizione per rispondere a questi attacchi: da quel momento la violenza collettiva, i blocchi e i sabotaggi divennero un valido strumento in mano ad ognuno. Gli effetti di tale svolta si vedranno soprattutto qualche anno dopo, a Golfech, a Chooz e a Plogoff.
A Plogoff il movimento si sviluppò intorno ai comitati antinucleari locali CLIN, facenti parti della federazione dei comitati bretoni CRIN: "...i comitati antinucleari della Bretagna si riuniscono il 24 e il 25 maggio a Spézet e creano la Federazione dei CRIN della Bretagna. Oramai, tutte le informazioni, tutte le battaglie, tutte le analisi e riflessioni vengono trasmesse a ogni CRIN e CLIN della Bretagna. Per evitare che singole persone o gruppi prendano il potere, la Federazione non dispone di un ufficio permanente: ogni CLIN, a turno, garantisce le funzioni di segreteria, la corrispondenza, le relazioni con la stampa, ecc. Questi presupposti, e il fatto che i CRIN non si siano registrati in prefettura, evidenziano lo spirito libertario che regnava nel movimento antinucleare. Inoltre, quasi ogni mese, tutti i CLIN e CRIN si riuniscono in una città sempre diversa per condividere le loro esperienze, decidere azioni comuni [...] D'altra parte, ogni CLIN continua ad essere completamente autonomo e può organizzarsi come meglio crede" (Tudi Kernalegenn, Luttes écologistes dans le Finestère, Yoran Embanner, 2006). Le giornate di Plogoff, vissute sulle barricate durante il periodo dell' "inchiesta di utilità pubblica" fra il 31 gennaio e il 14 marzo 1980, furono il simbolo di questa lotta. La forte opposizione spinse Mitterrand a desistere definitivamente dal progetto, attribuendo una vittoria al movimento.
A Chooz il progetto per l'ampliamento della vecchia centrale in funzione fin dagli anni Settanta, detto "Chooz B", fu ufficializzato alla fine degli anni Settanta e scatenò la reazione di buona parte della popolazione. La posizione geografica di questo piccolo paesino delle Ardenne di circa un migliaio di abitanti, incastrato al vertice di un triangolo al confine con il Belgio, rese possibile l'estensione della lotta oltre i confini nazionali. L'incontro degli antinuclearisti di entrambi i lati della frontiera diede vita al "Fronte d'azione antinucleare franco-belga": questo coordinamento scavalcò fin da subito le posizioni legalitarie di buona parte del movimento ecologista impegnato a Chooz. La lotta durò circa quattro anni e, alle contestazioni delle inchieste di pubblica utilità, che qui furono due (6 maggio / 7 giugno 1980, 1 / 17 aprile 1981), si aggiunsero gli "appuntamenti del sabato". Per mesi il movimento antinucleare si diede appuntamento ogni fine settimana per attaccare i cantieri e la polizia stanziata per proteggerli, creando una situazione che per le forze repressive divenne ben presto ingestibile. A questa mobilitazione si aggiunse, nel 1982, quella degli operai in sciopero contro i licenziamenti voluti da un industria siderurgica locale, la Chiers. L'impegno di molti di questi operai anche contro la centrale di Chooz e la presenza costante di un nemico comune, la polizia nelle strade, furono i motivi di questa convergenza. Il coordinamento che nacque tra il Fronte e una buona parte degli operai organizzati in sindacati autonomi, al di fuori del controllo della CGT, radicalizzò metodi e prospettive. Dal 1982 al 1984, anno in cui la lotta si esaurì, si susseguirono scontri e sabotaggi molto duri: tra i tanti vale la pena di ricordare l'incendio di un castello di proprietà della Chiers, bruciato alla fine di una manifestazione a cui parteciparono operai e antinuclearisti insieme.

Continua qui

Note
1: Società francese dell'energia nucleare.
2: Centrale di sicurezza delle installazioni nucleari.
3: Servizio Centrale per la protezione contro le radiazioni ionizzanti.

07/02/12

Lettera di Alexandre Marius Jacob al procuratore






Luglio 1954
Signor Procuratore,
il 18 gennaio 1954 avevo spedito al vostro subordinato, il cancelliere capo del tribunale civile, una richiesta di estratto del mio casellario giudiziario allegando un vaglia di centottanta franchi, oltre ad un francobollo di quindici franchi per l'affrancatura della busta. E il 22 di questo mese, ho ricevuto quanto richiesto. Ora, quel documento indica da sé, in carattere a stampa, il costo di centoquaranta franchi... Orbene, penso che, per essere giusti, il vostro subordinato avrebbe dovuto restituirmi quanto in più che, con il presente reclamo, ammonta alla cifra di settanta franchi.
Fin da giovanissimo, mi è stato inoculato il virus della giustizia e ciò mi ha causato parecchie noie. Ancora oggi, al declino della mia vita, la benché minima ingiustizia mi infastidisce e risveglia in me il Don Chischiotte delle mie giovani primavere. Mentre in voi, signor Procuratore, che siete, se posso dirlo, del mestiere, le reazioni devono essere ben diverse. Voi dovete ritenere ridicolo un reclamo per una somma così modesta; dovete pensare e credere che io sono un rompiscatole unicamente preoccupato di attaccar briga con i servitori dello Stato. Errore. Io cerco di capire. Frugo e desumo i motivi che hanno potuto determinare il fatto che un mercenario del Principe, d'altronde ben provvisto di onorari superiori a quelli concessi ai lampisti, sgraffigni i miei cinquantacine franchi...
Nella vostra corporazione, signor Procuratore, ci sono gli aguzzini, i duri, quelli che interpretano più la lettera piuttosto che lo spirito, quelli nei quali il riso non ha mei tracciato una ruga sul viso. I giudici della Santa Inquisizione, neri o rossi, erano e sono ancora di questa tempra. Ci sono quelli, più colti, dal carattere meno rigido, più disposti ad apprezzare umanamente, a comprendere, quindi ad eseguire piuttosto che ad infierire...
Mi piacerebbe potervi classificare in quest'ultimo tipo e quindi vi prego, signor Procuratore, di voler fare buona accoglienza della mia richiesta facendomi restituire la somma che mi è dovuta e vi prego di gradire i miei ossequi.
Marius-Alexandre Jacob,
svaligiatore in pensione.