14/03/12

La Canaglia a Golfech - Vis à Vis - Terza Parte


Segue da qui

’81, ’82, ’83… gli anni si susseguono, e anche le azioni. La loro capillarità e l’eterogeneità degli attacchi fa pensare a tanta gente diversa che si muove con mezzi diversi. 

Nella cronologia ci sono principalmente le azioni della mouvance, ma non solo. Se ci sono una sessantina di persone che decidono di incontrarsi, ce ne sono sempre altre trenta, quaranta o più che fanno le cose per i fatti loro. A volte venivamo a sapere che era stato fatto saltare o era andato a fuoco un trasformatore EDF, era la mouvance, ma chi? Chi se ne frega. C’erano alcuni che non avevano mai fatto cose di questo tipo e a un certo punto hanno cominciato a farle con il materiale che avevano, non era un’esclusiva. Insomma c’era un consenso generale per le azioni, perché c’era in realtà molta gente che le faceva. Possiamo dire che, in linea generale, c’era una mouvance, ma non tutto quello che succedeva era dovuto a essa.
Comunque con la gente c’era una specie di complicità e su questo posso raccontare qualche aneddoto, a proposito di una ditta che partecipava ai lavori della centrale. Un bel giorno, spontaneamente, alcune persone scoprirono che questa ditta era della zona, che il padrone era di lì e spuntarono fuori ovviamente tutti i dossier. Qualcuno dopo è andato a verificare, e questo per dire che non sono solo poche persone a fare tutto, ce ne sono un centinaio che partecipano. In più girava praticamente la lista di tutto il personale che lavorava alla centrale. Com’era possibile questo? Non certo perché qualcuno l’aveva fatta uscire, ma semplicemente perché l’ufficio della centrale buttava tutta la spazzatura in una discarica che si trovava vicino a una casa di un vecchio, che a sua volta la raccoglieva e la portava a chi poi sapeva cosa farsene. Per dirti che c’erano tanti aspetti, molte azioni con obiettivi ben chiari, e c’era una pressione a tutti i livelli con una partecipazione diffusa. Anche se le azioni più grosse avevano una specie di centralizzazione verso la mouvance, in generale le cose funzionavano in modo semplice e diffuso. Come dicevo, c’era la cosiddetta mouvance, ma c’era anche dell’altra gente, che magari non conoscevamo direttamente o che non voleva far parte di quei gruppi specifici, che faceva le azioni. Non abbiamo raggruppato tutti, noi eravamo solo uno dei gruppi di questo movimento allargato.
Poi c’è da dire che durante tutta la campagna di sabotaggi non c’è stato nessun arresto. A ogni azione seguivano delle perquisizioni, e magari qualcuno veniva fermato per un paio di giorni. Le perquisizioni e i fermi per noi erano sistematici, ma gli sbirri comunque non hanno mai potuto arrestare nessuno. È vero, in Toulouse la canaille, si parla dell’arresto di due compagni, in seguito al ritrovamento di un metro di miccia durante una perquisizione. Anche se all’epoca non era vietato comprarla, è stato però sufficiente per incolparli di detenzione di esplosivi e sono stati arrestati, ma è stato a margine della lotta perché questa gente non faceva parte della mouvance impegnata a Golfech, ma di altri gruppi che facevano altre cose. E poi questa storia ha portato all’arresto di altre persone, che in solidarietà hanno provato a bruciare una chiesa e si sono fatti prendere sotto l’altare con del materiale infiammabile. In seguito ci sono state manifestazioni collettive di solidarietà: ne ricordo per esempio una all’interno della cattedrale di Tolosa, la stessa che doveva essere bruciata, dove un compagno un po’ situazionista travestito da Papa ha fatto una messinscena del tipo battezzare la gente urlando: “Vi dono il mio sangue”… e i fedeli se la sono data a gambe! Il Papa, al sopraggiungere degli sbirri, si è dileguato, coperto da un gruppo di compagni. Le azioni di solito venivano fatte collettivamente anche per garantire una certa protezione, perché finiva spesso a cazzotti… Ma ti voglio raccontare meglio la storia dei compagni arrestati per la miccia, così per farti capire qual era il contesto in cui si muoveva la mouvance di Tolosa. Dopo qualche anno dall’elezione di Mitterrand, cominciano a prendere piede le idee del Front National, l’estrema destra per intenderci. Quello che succede è che il Front National comincia a fare dei meeting molto importanti in giro per tutta la Francia: a Tolosa, per esempio, ai raduni partecipavano anche mille persone. E c’erano alcuni gruppi che facevano delle azioni contro il Front, non intendo azioni contro i suoi militanti, ma, per esempio, quando questi chiedevano una sala per fare un meeting, saltava in aria la centralina dell’elettricità o la sala stessa. Tutti si aspettavano che a Tolosa il Front non sarebbe riuscito a esprimersi. Non a esprimersi, non è questione di far esprimere i fascisti. Sono delle merde. Comunque la gente se lo aspettava, la sala salta, la centralina salta e per un caso, per una serie di circostanze, ci sono dei compagni arrestati. Nascono dei comitati di sostegno, vengono fatte manifestazioni, incontri, concerti con migliaia di persone che partecipavano per sostenere i compagni. Malgrado siano stati arrestati con del materiale tipo qualche metro di miccia, siamo riusciti a far uscire i compagni il più velocemente possibile, anche se le prove erano a loro sfavore. Questo per spiegare come questo movimento diffuso attaccasse anche altri obiettivi. Poi ci sono stati i fatti della Nuova Caledonia, dove dei Canachi avevano rapito degli sbirri per rivendicare cose loro, e siccome era periodo elettorale hanno dato l’autorizzazione ai militari e ai gendarmi di sparare. Ci sono stati più di venti Canachi assassinati nell’assalto per liberare gli sbirri rapiti, anche se nessuno di questi era stato ucciso. Dopo quest’assassinio di massa ci sono state delle azioni contro le caserme in tutta la Francia e anche nella regione di Tolosa. Qui, in fin dei conti, dal momento che c’era una pratica illegalista, attraverso una rete di contatti ci si poteva incontrare mantenendo ognuno la propria autonomia, i propri obiettivi e le proprie pratiche. Ma c’era una solidarietà generale di fronte alla repressione: ogni volta che dei compagni venivano arrestati c’erano delle risposte.
Beh, tutto questo succedeva durante la lotta di Golfech. 

Nel novembre ’83 spunta questo giornale molto speciale, un numero unico clandestino che affianca alle detonazioni notturne le frecce dell’analisi. Mi racconti di Toulouse la canaille? 

Toulouse la canaille è uscito quando la lotta di Golfech cominciava un po’ a indebolirsi, e nasce dal bisogno di esprimersi. Molti dei gruppi di affinità che costituivano questa mouvance, hanno sentito il bisogno di spiegare il perché delle azioni. A un certo punto alcuni individui, più o meno rappresentativi di tutti questi gruppi di affinità, hanno messo bianco su nero quello che pensavano, con una riflessione sul perché veniva attaccata Golfech, quali erano le motivazioni e che significato politico davano al loro intervento. La cosa migliore è leggere i testi [in appendice]. È da molto che non li leggo… Nacque così: era già qualche anno che molte persone lottavano insieme contro Golfech, si conoscevano, ogni tanto andavano a mangiare a casa di uno o dell’altro, come sempre. Alcune volte per scegliere un’azione era sufficiente che, con molta ironia, qualcuno ponesse una questione e a poco a poco ci si interessava, e si recuperavano le cose che servivano, quando era possibile. Toulouse la canaille è uscito nello stesso modo con cui si facevano le azioni: a un certo punto qualcuno dice: “perché questa volta non facciamo, invece dei soliti piccoli testi da volantino, una rivista attraverso la quale possiamo comunicare qualcosa in più?”. Era una bella idea, però è ovvio che era illegale, si sarebbero espressi i gruppi che avevano fatto delle azioni. Questo non è troppo legale… comunque c’erano delle buone possibilità di farcela tranquillamente. Quello che è più interessante, è com’è stato fatto: tutti avevano qualche cosa da dire, si è creato un piccolo gruppo per raccogliere i testi degli uni e degli altri, e ciascuno ha messo su carta quello che pensava. I testi erano discussi da ciascun gruppo e alla fine è stato raggiunto un accordo comune. Il resto è stato un accordo tecnico: prendere la carta, andare a stamparlo e dopo, ovviamente, distribuirlo. Credo che ne siano state stampate più o meno 1500 copie, senza indirizzo, ovviamente, perché era un giornale clandestino, ed è stato distribuito subito, in un paio di giorni. Non sarebbe stato stampato un’altra volta: anche se le fotocopiatrici all’epoca erano di pessima qualità, si potevano fare pur sempre delle copie. 

In quegli anni, se da un lato s’intensificano gli attacchi diretti, dall’altro scemano gradualmente le manifestazioni in piazza. Pare s’insinui un clima di rassegnazione generale. La gente non ci crede più? 

Le grandi manifestazioni di massa avevano dato a molti, in un primo momento, la speranza di poter vincere la lotta, cosa che in seguito, con l’inasprirsi della repressione, si è dimostrata alquanto difficile. I pestaggi durante le manifestazioni, gli arresti e le aggressioni degli sbirri alla fine del corteo erano fatti apposta per far paura. E l’effetto di questa paura è stato l’allontanamento della gente. Non a caso grandi manifestazioni non ce ne sono più state, dopo le violenze nei cortei: la repressione è stata molto dura, e non specificatamente contro di noi. Si sono accaniti soprattutto, e questo è da tenere in conto, contro le persone anziane che vivevano attorno alla centrale, contro quelli che mantenevano in vita le associazioni antinucleari e i comitati. C’era il chiaro obiettivo di attaccare queste persone per annientarle, fisicamente. Sto parlando della polizia, avevano chiaramente quest’intenzione, e oggi lo vediamo sempre più spesso, gli sbirri picchiano duramente durante le manifestazioni per far in modo che la gente non ci torni più. Anzi a Golfech ormai gli sbirri ci attaccavano già mentre stava solo cominciando il concentramento, e la gente aveva paura anche a tornare alla macchina e andare a casa, perché li seguivano, spaccavano le macchine e menavano chiunque. È la tattica di fomentare la paura e la gente, se pensa che in una manifestazione ci potranno essere violenze da parte degli sbirri, non ci va. È una politica attuata deliberatamente, che oggi ritroviamo sempre più spesso, basta vedere cos’è successo in Italia, a Genova, ma anche qui in Francia è uguale. Questa politica mira a rompere fisicamente la faccia ai manifestanti affinché non scendano più in piazza, perché sanno bene che i più determinati ritorneranno ma che la maggior parte non ha voglia di farsi spaccare la faccia due volte. È un loro obiettivo politico, che va sottolineato. A quel tempo questa tattica di violenza ha aiutato ad abbassare la combattività e noi ce ne siamo resi conto.
Ma se vogliamo analizzare a fondo i motivi di questo allontanamento dobbiamo aggiungere dell’altro. A partire dal 1980 ha cominciato a prendere piede una specie di “politica dell’ecologia” e tutti i gruppi ecologisti che erano dentro i comitati antinucleari si sono orientati verso la politica. Esisteva già all’epoca l’equivalente del partito dei verdi, creato da un ecologista di destra che è stato fatto ministro da Mitterrand. È vero, la lotta pian piano andava spegnendosi, ma questa svolta all’interno dei comitati antinucleari ha contribuito a demoralizzare ulteriormente la gente e a spegnere la speranza di vincere. In ultima analisi la repressione ha influito molto, ma la gente si è demoralizzata più che altro perché non credeva più di poter vincere la lotta. Perché se avessero creduto di vincere se ne sarebbero fregati della repressione. Accetti la repressione quando non credi alla lotta che stai facendo, e questo vale soprattutto per la maggioranza della gente. Per noi è più difficile, se hai una coscienza di classe non vedi solamente la centrale, sai che la lotta di classe continua in altri ambiti. Tanti hanno cominciato a lottare contro Golfech e si sono fermati lì, ma molti altri invece hanno continuato. 

Quindi a un certo punto anche la mouvance s’interroga su di sé, in rapporto a un movimento di massa che non c’è più, alla lotta specifica che sta portando avanti, ai camini della centrale che s’innalzano giorno dopo giorno? 

Le azioni sono cominciate prima che fosse stato accordato il permesso di costruire a Golfech, prima che il governo socialista si fosse espresso a favore e che cominciassero effettivamente i lavori di costruzione, quindi prima che Golfech ci apparisse irreversibile. Fino a quel momento si sono intensificate le azioni dirette di sabotaggio contro EDF, le ditte e il materiale che andava verso la centrale. Tutto questo ha avuto una dinamica nutrita di molte illusioni, perché credevamo davvero di poter vincere. Non ne eravamo certi, ma ci credevamo. Passano gli anni, il 1982, il 1983, il 1984, e ci rendiamo conto che stavamo andando verso un punto di non ritorno in rapporto alla costruzione della centrale. Vuol dire che la centrale l’avrebbero lasciata costruire, con il beneplacito di chi si diceva contro come i partiti traditori, compresa l’estrema sinistra.
Credevamo anche che l’opposizione della gente, l’opposizione di massa che vedevamo crescere nelle grandi manifestazioni, sarebbe continuata. Invece, di fronte alla repressione e a certe provocazioni la gente veniva sempre meno alle manifestazioni e alle azioni di massa. Poi, in seguito al tradimento da parte dei politici socialisti, cominciò a tirare un’aria di scoraggiamento generale; perché la gente, si sa, quando viene tradita all’inizio si arrabbia, ma poi conclude che non vale più la pena di lottare in una situazione così. E d’altra parte, alla fine, nemmeno noi avremmo potuto continuare una lotta che per noi stessi era già persa. Anche se sapevamo che la società ci avrebbe imposto il nucleare e la centrale di Golfech, non volevamo diventare un gruppo di specialisti che avrebbe fatto per anni le stesse cose, perché, alla fine, se fossimo diventati specialisti di qualcosa, saremmo andati contro quelle stesse idee che ci avevano mosso in partenza.
Dal momento in cui non c’era più un movimento di massa, ci siamo detti che non valeva la pena che ci fosse un gruppo specifico contro Golfech. Non avrebbe avuto senso. Quando c’era un’opposizione di massa, che si muoveva con tutti i mezzi democratici, con manifestazioni anche violente, la mouvance aveva qualcosa da dire e faceva le azioni per rinforzare questo tipo di attività di massa con azioni più mirate, scelte. Non voglio dire che erano azioni di massa. Voglio dire c’era una parte del movimento di massa che aveva scelto di opporsi al nucleare con altri mezzi. Ma a partire dal presupposto che esisteva un movimento di massa. Non si poteva continuare con le stesse azioni, come si faceva prima in modo massiccio, per il semplice motivo che saremmo diventati un gruppo di specialisti. Questo ideologicamente è contro le nostre idee, noi non eravamo un gruppo armato specifico di tale frazione del movimento, mettiamo, antinucleare. Questo non lo saremo mai. E quando spingi molto in una lotta, come abbiamo fatto noi, a un certo punto te ne rendi conto: se avessimo continuato così saremmo diventati degli specialisti degli attacchi antinucleari contro Golfech. E la maggior parte di noi sarebbe finita in galera, perché a un certo punto ci saremmo scontrati inevitabilmente con la repressione. 

Però forme di protesta e alcune azioni contro Golfech sono continuate fino agli anni Novanta. 

I sabotaggi sono continuati, se vogliamo, fino alla fine degli anni Ottanta, con qualche traliccio che ogni tanto cadeva in risposta al nucleare o alle linee ad alta tensione. Ma non più con il solo obiettivo di fermare Golfech. Noi abbiamo continuato con la lotta che avevamo sempre portato avanti, contro il nucleare ma anche contro la società militarizzata. In generale possiamo parlare di una lotta viva e forte fino al 1983. Era chiaro a tutti che non valeva più la pena andare avanti in maniera mirata su Golfech. È vero che dopo c’è stata qualche azione contro il nucleare, ma non era più specificamente contro Golfech ma contro il nucleare in generale. Vuol dire che saltava ogni tanto qualche traliccio, come prima del collaudo della centrale, come l’attacco alla diga di Malause, o come gli attacchi alle linee ad alta tensione nella valle del Louron. Ogni anno c’erano quattro o cinque azioni più specificamente antinucleari, ma nell’insieme delle azioni che venivano fatte contro la società in generale. In pratica si continuò ad attaccare il nucleare come si faceva anche prima di questa lotta specifica. Dal momento che stavano costruendo una centrale proprio dove vivevamo, Golfech divenne l’obiettivo principale. Se la centrale fosse stata a mille chilometri, avremmo fatto delle azioni in sostegno. Visto che era da noi, si facevano le azioni contro Golfech, e allo stesso tempo contro il nucleare. Quando a Golfech non abbiamo più visto prospettive di lotta efficaci, o azioni di massa, non abbiamo più continuato in questo senso, siamo tornati a occuparci di quello che facevamo prima: a lottare con tutti i mezzi contro la società capitalista, contro lo Stato. Come del resto si faceva anche durante la lotta contro Golfech, quando venivano attaccati gli sbirri e le caserme contro la repressione, nelle azioni contro le chiese, i padroni e i fascisti del Front National, erano tutte azioni che non c’entravano niente con la centrale.
In pratica eravamo quello che viene chiamato un movimento diffuso, e in particolare nella regione di Tolosa c’era una buona concentrazione di piccoli gruppi di affinità. Per me la lotta ha avuto aspetti positivi e negativi, e bisogna ammettere che tutti ne sono usciti un po’ logori per le tensioni che si sono create tra le persone. Che si voglia o no, anche se la repressione non si è abbattuta su di noi, ci abbiamo lasciato parecchie piume. Di certo questa specie di coordinamento fra i gruppi d’affinità è riuscito, ci sono stati momenti di lotta molto belli e intensi, ma è stato a volte faticoso relazionarsi. E non per questione di obiettivi: le difficoltà e i problemi, il più delle volte scatenati da motivi personali, ci sono sempre quando diversi individui si mettono in gioco per fare qualcosa. Inoltre la lotta spingeva molto le persone, le spronava, ma poi… che ne è stato dei tanti che partecipavano alle azioni? Oggi la maggior parte non fa molto. Non voglio dire che non fanno niente, dico non molto. Li ritroviamo poco nelle manifestazioni e nelle cose collettive, ognuno si è fermato nel proprio angolino, ognuno con i suoi lati positivi e negativi.
Il movimento di massa, dal canto suo, dopo l’83 rifluisce in delle lotte, come dire, più di sopravvivenza, su sicurezza, salute, ormai appieno dentro la gestione di questa cazzo di centrale. È diventata a tutti gli effetti una lotta democratica, per creare una commissione a tutela della salute, per smascherare gli imbrogli di EDF, ecc. Noi abbiamo criticato questa svolta, perché alla fine non ne esci più, fra EDF e lo Stato che continuano a raccontartela… è, in effetti, roba da politici. La lotta a Golfech continua anche adesso, se vogliamo, ma nel solo modo che ti permette la via democratica: creare un comitato per controllare la radioattività del fiume, il livello di salute, denunciare quando ci sono degli incidenti, insomma ci si limita a gestire la catastrofe futura, se ci sarà, ma spero di no. Se vogliamo, possiamo dire che la lotta è continuata, ci sono state manifestazioni anche prima della messa in funzione della centrale, con un migliaio di persone, e contro il collaudo della centrale e via dicendo, ma questo è quello che, più o meno, ti permette il gioco democratico. Inoltre alcune persone sono entrate nel sito e sono rimaste cinque giorni attaccate alla torre¹, altri si sono incatenati ai camion che portavano dei pezzi della centrale. Ci sono sempre state e ci saranno sempre delle azioni di questo tipo. Talvolta hanno più ritorno mediatico, come quelle di Greenpeace, che è specializzata in azioni mediatiche. Ma questo è quello che ti permette la società, la democrazia. Fintanto che tu non attacchi i loro interessi materiali, ti permetteranno sempre di fare dei comitati per fare pressione affinché non succedano degli incidenti. Non mi disturba questo tipo di lotta, ma il punto è che oggi è ben gestita dai partiti politici, soprattutto da quelli ecologisti, che aspirano soltanto che la gente usi la scheda elettorale come un certificato di morte in un’urna qualsiasi. Tutte queste associazioni, a cui aderiscono molte persone che pure sono contro lo Stato e che sanno bene che le elezioni non servono a niente, purtroppo oggi sono ben controllate dai gruppi ecologisti che partecipano alle elezioni. 

E questo è tutto, si dissero allontanandosi.

Ma la traccia di un sentiero che dal passato s’inoltra nel fitto dei nostri sogni, sbuca inevitabilmente nella radura delle possibilità del presente.



Note
1: Il 10 giugno 1989, durante un incontro di riflessione sul nucleare, prende il via l’operazione “Stop Golfech”. Cinque membri del Collettivo Pace e del VSDNG si arrampicano su una torre della centrale, srotolano degli striscioni enormi che riportano la scritta “STOP”, e vi rimangono per cinque giorni. Le loro rivendicazioni erano: promuovere un referendum e un dibattito televisivo per uscire dal nucleare; l’instaurazione da parte del governo francese di un piano energetico e politico che rendesse concreta questa uscita; la chiusura delle centrali di Golfech e Malville.

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