14/03/12

La Canaglia a Golfech - Vis à Vis - Prima Parte

Proseguiamo con la saga de La Canaglia a Golfech, grazie a Daniele che mi ha mandato il file evitandomi il tremendo sbatti di copiarmi tutto a mano.

Introduzione: prima parte - seconda parte.


Due uomini, un giovane e un vecchio, camminano oltre il recinto di una centrale nucleare.

Il fumo denso che esce dalle gigantesche torri offusca la limpidezza di un’alba appena accennata. Il loro incedere rallenta, con l’accelerare delle parole, dei ricordi, dei desideri e dei progetti, e il solo racconto sembra far tremare lo sfondo, con tutta la sua pretesa d’ineluttabilità.

Più in là, una capra selvatica ha divorato i pochi fiori malati e con essi qualche formica a due teste. Ora gironzola, intenta a trovare il luogo migliore per lasciare le sue scorie.
Sono mesi che leggo e mi documento sugli anni di lotta contro la centrale di Golfech, ma poterselo far raccontare… non avrei chiesto di meglio. Le raccolte di testi e comunicati, le cronologie e tutto il resto impoveriscono sempre un po’, quantomeno il “sapore” di un’epoca, l’entusiasmo e la determinazione che le sono fondamentali. Raccontami allora dall’inizio questa lunga lotta… 

Tutto è iniziato quando EDF¹ e il governo di allora (prima di Mitterrand c’era la destra di Giscard²) decisero di costruire una centrale nucleare a Golfech. L’opposizione reale, intendo la formazione di gruppi di opposizione, esplose alla fine degli anni Settanta, nel 1977 ma soprattutto nel corso dei due anni successivi, nel momento in cui EDF iniziò ad acquistare e poi a espropriare i terreni e le fattorie presenti sul futuro sito.
Della questione nucleare però se ne parlava già dagli anni Sessanta, circa dal ’63, da quando Edf aveva cominciato a chiedere la disponibilità di moltissimi siti in tutta la Francia, come a Golfech, a Plogoff, a Pont la Nuvelle e a Chooz. Più o meno funzionava così: per ogni sito EDF presentava una domanda, con la vecchia tattica di chiedere dieci per ottenere quattro, e immediatamente nascevano dei comitati composti, almeno nei primissimi momenti, da abitanti della zona che non credevano alle solite balle dei politici, tipo che i cantieri avrebbero portato lavoro, o semplicemente si opponevano alla costruzione della centrale punto e basta. In questo modo tutta la gente che aveva una sensibilità ecologista cominciò subito a coordinare delle azioni, costituendo i primi comitati antinucleari quando del progetto ancora se ne parlava soltanto. Vi partecipavano anche gruppi che esistevano già prima, sparsi in tutta la regione: a Tolosa, per esempio, uno di questi era una cooperativa, un gruppo di acquisto di prodotti biologici. Per Golfech in particolare si creò già nel ’65 un comitato in un paese vicino, a Valence d’Agen. In un paesino di cinquecento abitanti come Golfech il movimento che si creò in quegli anni era piccolo, ma i comitati nascevano subito, non appena i comuni si dichiaravano contrari. Contemporaneamente, infatti, si era formato un coordinamento fra i sindaci di Golfech e dei paesi circostanti, che si muoveva con tutti i mezzi democratici, petizioni, referendum e campagne di sensibilizzazione, per far sapere che la popolazione era contraria. In quel periodo tutti i comuni della zona, che erano per lo più di destra, si schierarono contro la centrale perché si rendevano conto che, al di là degli argomenti di propaganda dell’epoca, in quattro o cinque anni sarebbe diventata soltanto un problema economico: a parte qualche operaio che poteva consumare nei negozi e nei bar circostanti non ci sarebbe stato niente da guadagnare, solo nocività e pericoli. In risposta, EDF fece la sua campagna di propaganda utilizzando anche degli pseudo referendum, per dimostrare che c’era anche qualcuno a favore, si sa, come il padronato, le imprese e i sindacati tipo la CGT pro-comunista che era ovviamente con loro, era anzi uno dei migliori difensori dell’industria nucleare a livello popolare.
Ecco, questo è in sintesi il modo spontaneo e para-istituzionale in cui si formò l’opposizione, fino a quando, verso la fine del 1977, EDF fece domanda per gli espropri e allora si capì che la centrale stava per essere effettivamente costruita. Nel ’77-’78, infatti, si cominciò a parlare concretamente della costruzione, e, anche se mancavano ancora le autorizzazioni, EDF iniziava a farsi sotto e a organizzare gli espropri del terreno che le occorreva e che era enorme – non saprei dire di preciso, comunque circa trecento ettari – vicino a un grosso fiume sbarrato da una diga per avere l’acqua di raffreddamento. A proposito, ecco un bell’esempio di come ce la raccontano: nel 1967 EDF presentò il progetto, subito approvato, di una diga a Malause che fu terminata nel ’72. Noi c’eravamo sempre chiesti il perché della sua esistenza, e anni dopo abbiamo saputo che sarebbe servita al raffreddamento della centrale. Questo dimostra chiaramente che quando hanno in mente di fare qualcosa ci sono già altri progetti in moto, esiste una pianificazione che non viene svelata, per poterla meglio imporre. Quando EDF ha cominciato a parlare della centrale a Golfech, si è capito subito a cosa sarebbe servita la diga. Ma dicevamo, trecento ettari: un sacco di terra quindi. E di espropri ce ne furono parecchi, perché molti proprietari dei terreni si rifiutarono di vendere fino all’ultimo, anche se EDF li avrebbe pagati molto più del prezzo di mercato. Il copione era sempre lo stesso: EDF dava il via agli espropri, ovviamente ottenendo sempre ragione in tutte le cause impugnate, e nel 1979, dopo che gli espropri e gli sgomberi delle fattorie erano diventati effettivi, EDF arrivava con i bulldozer, con camion e camion di sbirri, faceva uscire la gente con tutte le proprie cose e demoliva immediatamente le case. In risposta si trovò subito una piccola tattica, adottata da alcuni comitati di Golfech e Tolosa: assieme a un’associazione ecologista di Tolosa sfruttammo l’escamotage giuridico di creare un Gruppo fondiario agricolo (Gfa, una sorta di cooperativa), e con la complicità di un proprietario comprammo un pezzo di terra proprio dove doveva essere costruita una torre della centrale. Con questo escamotage c’era il vantaggio giuridico che il terreno non poteva essere espropriato, noi non potevamo essere sgomberati, e questo diventava un problema per la costruzione della centrale. Proprio in questo pezzo di terra di proprietà collettiva verrà costruita la “Rotonda”, ma di questo te ne parlerò più avanti. 

Dai documenti si nota come, fin dal principio, parte del movimento antinucleare, soprattutto i comitati di cittadini, cercarono di organizzarsi coordinandosi tra loro. Dal coordinamento locale si passò presto a una piattaforma nazionale che riuniva i comitati di tutta la Francia. Da dove partì, e chi partecipò a questo coordinamento? 

In sintesi, la situazione era questa. Dopo la manifestazione di Malville del luglio 1977, repressa violentemente dalla polizia, ovunque c’era la possibilità che si costruisse una centrale si costituivano immediatamente dei comitati antinucleari, a cui partecipava per lo più gente dei paesi, ma anche persone appartenenti a partiti politici, e poi c’erano i militanti di gruppi o individui libertari. Dopo Malville queste persone, questi individui, che definiamo libertari, andarono a rafforzare i comitati, e questo non avvenne solamente a Golfech ma in tutta la Francia, come a Chooz per esempio. Il caso specifico di Plogoff merita un’analisi a parte: anche qui fu creato un comitato, ma vi parteciparono principalmente gli abitanti del paese.
Il CAN (Comitato antinucleare) cominciò a crearsi verso il 1977. Il primo gruppo a farvi parte fu il comitato antinucleare di Valence d’Agen, poi quello di Golfech che riuniva svariate persone dei paesi attorno. Ne faceva parte anche il comitato di Tolosa, creato nel ’68 o nel ’69, non ricordo bene la data, da gruppi ecologisti e libertari che avevano una sensibilità antinucleare. Nel CAN c’erano collettivi ecologisti, qualche partito politico, come per esempio la Lega comunista rivoluzionaria (LCR), ma soprattutto un’importantissima mouvance³ libertaria, organizzata o no che fosse, presente un po’ dovunque nei comitati. Il CAN era coordinato a livello regionale e nazionale; c’era il comitato locale, che si coordinava a livello regionale con gli altri comitati (CRAN), e solo più tardi si è creato un coordinamento antinucleare nazionale dove a poco a poco si sono inseriti i politicanti.
A livello di gruppi organizzati tutto girava attorno ai comitati antinucleari. Al di fuori, ed è quello che vedremo in seguito quando parleremo delle azioni, c’erano molti gruppi di affinità che si muovevano contro il nucleare con altri mezzi, non solamente democratici. A partire dal coordinamento ufficiale le persone si conoscevano fra loro, per affinità. Sapevamo chi sarebbero stati i futuri candidati, come per esempio fra gli ecologisti, ma conoscevamo anche persone più discrete, intenzionate ad attaccare direttamente gli interessi della società capitalista che voleva imporre il nucleare nella loro regione. E poi ci si coordinava anche semplicemente perché in tal luogo o tal altro c’era qualche militante libertario.
All’inizio si è trattato per lo più di un’opposizione legale, quella dei comitati, del CAN, di alcuni sindaci che partecipavano alla lotta, e soprattutto della popolazione. L’opposizione dell’inizio è quella che si manifesterà meglio quando, nel 1980, verrà fatta l’inchiesta di utilità pubblica. 

Malville, 31 luglio ’77: dal tuo racconto sembra che questa data rappresenti un momento di svolta importante nella lotta antinucleare, un punto di rottura e di trasformazione che cambia profondamente la prospettiva delle dimensioni dello scontro… 

L’appuntamento a Malville fu lanciato non appena si seppe che lì volevano costruire una nuova centrale sperimentale. Alla chiamata rispose moltissima gente da tutta la Francia, perché l’eco di questa lotta era molto vasta all’epoca. Il movimento ecologista e antinucleare lanciò la proposta di fare un’assemblea e un incontro, da cui emerse l’idea di entrare e occupare il sito. In tanti abbiamo partecipato a questa manifestazione in modo gioioso, pacifico. Anche se c’era gente determinata a entrare a ogni costo nel sito, nessuno si sarebbe mai immaginato la reazione degli sbirri in tenuta antisommossa che attaccavano la gente lanciando granate. Era la guerra. Questa manifestazione è stata una delle più grandi disillusioni del movimento antinucleare: ci si è resi conto che le grandi azioni pacifiste avrebbero causato morti e feriti. Ci fu un morto, un professore che era lì a manifestare come tutti quanti, si chiamava Vital Michalon: fu ucciso dallo spostamento d’aria provocato da una granata lanciata dagli sbirri. Non ci sono stati mica scontri, questo è l’argomento preferito della stampa borghese, quando si è attaccati dalla celere non ci sono scontri, gli sbirri ti tirano le granate e ti menano con i manganelli. Dov’è lo scontro? I soli celerini feriti ci sono stati perché a uno è scoppiata una granata in mano. In questi casi c’è poco da dire, la violenza è da una parte sola. Ci sono state delle forme di autodifesa, ma decisamente marginali se pensiamo all’insieme delle centomila persone che partecipavano alla manifestazione.
Quello che dobbiamo analizzare è il cambiamento di rotta del movimento antinucleare, o almeno di una parte, a partire da quel momento. Ci siamo resi conto che continuare con queste grandi manifestazioni pacifiste contro il nucleare avrebbe voluto dire andare a farsi spaccare la faccia e basta. Da Malville la gente è tornata con molta rabbia, e io credo che sia proprio da quel giorno che parte del movimento antinucleare si è radicalizzato nei metodi. La riflessione che seguì fu aperta, nazionale, e permise di arrivare alla conclusione che non era con i metodi pacifisti e non violenti che avremmo bloccato lo Stato, gli interessi di EDF e i loro progetti di una società nuclearizzata, con tutto quello che comporta: una società militare, poliziesca. Perché non bisogna mai separare il nucleare civile dal nucleare militare, è il primo che alimenta il secondo: il plutonio lo fanno le centrali civili, non esistono centrali speciali solo per il militare. È evidente che lo Stato decide di sviluppare il nucleare per degli interessi finanziari. Cos’è il nucleare? È un’energia centralizzata, e quindi controllata. Non ci sono solo gli interessi di EDF ma anche quelli dello Stato, a cui questo va bene perché così è più facile controllare tutto.
Dopo la manifestazione ci sono state un po’ dappertutto azioni di collera, anche a Malville, e nelle settimane seguenti sono state distrutte parecchie vetrine e macchine di EDF. Questa fu la risposta, non ci furono delle azioni un po’ più radicali e organizzate. Per intenderci, nella lotta antinucleare ci sono sempre state, fin dall’inizio e un po’ dappertutto, delle azioni, delle piccole azioni. C’è sempre stata un’opposizione radicale, soprattutto contro l’obiettivo più importante, cioè EDF. È sempre stato chiaro che il bersaglio era EDF, perché è questa che attraverso lo Stato costruisce le centrali e le sfrutta; proprio per far sì che potesse vendere le centrali nucleari in Francia hanno fatto la politica del “tutto elettrico”. Questo vuol dire che oggi, se staccano la corrente, in inverno non c’è più riscaldamento, a differenza di una volta quando c’erano i caminetti, le stufe a legna e le costruzioni erano più isolate da muri spessi ecc. Dietro al nucleare c’è tutta una politica non solo finanziaria, ma soprattutto di controllo sociale. Perché, e lo sappiamo molto bene, dietro il nucleare c’è l’esercito e EDF ti racconta solo balle. È storico, se analizziamo un po’ la storia del nucleare vediamo che è sistematico, scegliere il nucleare vuol dire scegliere un tipo di società: la società nucleare, con tutto quello che comporta. 

Di pari passo alla repressione il potere utilizza sempre mezzi di propaganda e di suadente quanto fasulla chimera di partecipazione democratica alle decisioni importanti. E questo di solito si affianca a un avanzamento parallelo dei lavori, in modo che la cosiddetta concertazione con le popolazioni finisca sempre col trovarsi davanti ai cantieri già avanzati. Come si mosse EDF, e come rispose il movimento? 

Nel caso di costruzione di una centrale nucleare il committente dell’opera, cioè EDF, è obbligato dallo Stato a fare un’inchiesta di utilità pubblica, per vedere se la gente è pro o contro il progetto, per raccogliere le obiezioni, ecc. Non è una raccolta di firme, è, come dire, un quaderno ufficiale dove la popolazione può scrivere i propri commenti, se sono a favore della centrale e perché, se sono contro e perché, insomma è un dossier di parecchie pagine che per un po’ di tempo doveva essere consultabile da tutti ed era fatto per dare la possibilità, o almeno questo era previsto dalla legge, alla gente di dirsi pro o contro il progetto.
Quest’inchiesta, che durava circa un paio di mesi, doveva svolgersi nei comuni interessati e se i sindaci gli negavano il diritto di avere una sala del municipio EDF installava, con l’autorizzazione del prefetto, un furgone chiamato “Comune annesso” che diventava luogo pubblico. In questo furgone ci mettevano un tavolino con le sedie e un registro, e tu andavi là. Ebbene, visto che tutti i comuni coinvolti avevano rifiutato di ospitare l’inchiesta, EDF girava dappertutto con ’sto furgone e dieci camionette di gendarmi al seguito.
Anche noi compagni e compagne di Tolosa siamo andati lì per opporci all’inchiesta. In pratica basta che uno strappi una pagina e il registro non è completo. Devono verbalizzare che il registro alla tal ora, alla tal pagina, è stato rovinato da una tal persona, e siccome non era prevista una giustizia a latere dell’inchiesta, questo ha creato dei problemi. Il registro poi è stato incatenato, come a Plogoff, e c’è stato qualcuno che è riuscito a fregarlo e a portarlo fuori. Era così frequente che a un certo punto hanno messo un gendarme che ti teneva le pagine mentre scrivevi, se avevi qualcosa da scrivere, e nonostante questo c’era qualcuno che riusciva a strappare le pagine con la penna. A volte così si rendeva nullo il registro. E poi ci sono state anche delle manifestazioni con scontri, insomma c’era un clima di ostilità permanente contro l’inchiesta e ovviamente contro i gendarmi preposti al controllo, che provocavano. Di problemi ne avevano sempre e dappertutto.
Ma poi, si sa, l’inchiesta era solo una procedura formale obbligatoria per EDF, e anche se la maggior parte della gente era contraria, alla fine il governo decise a prescindere, e, difatti, decise per il sì. L’inchiesta è stata una bufala, alla fine il governo ti dice che è per gli interessi della nazione e bla bla bla, te la condiscono con queste frasi. Non per niente durante l’inchiesta continuavano a espropriare, a sgomberare e a demolire le fattorie. Quando EDF aveva cominciato ad acquistare i terreni nel futuro sito di Golfech, aveva appena avviato la domanda di esproprio per causa di utilità pubblica, e ciò dimostrava che la centrale sarebbe stata costruita, con o senza le autorizzazioni. EDF avrebbe dovuto avere in mano l’approvazione della domanda di utilità pubblica per cominciare a costruire, ma in realtà fece fin da subito quello che voleva, come sempre: cominciò a costruire prima di ottenere le autorizzazioni. È sempre la stessa storia. Se vogliamo, è lo stesso metodo che si applica in Palestina, gli israeliani cominciano a costruire le colonie e dopo viene richiesta l’espulsione degli altri estranei, i palestinesi autoctoni. Ma torniamo in Francia: essendo pratiche separate lo Stato doveva dare prima l’assenso alla domanda, e poi l’assenso per costruire. Per quest’ultimo ci sarebbe stato bisogno di molti dossier, ma nei fatti EDF metteva di fronte al fatto compiuto, perché nel frattempo era andata avanti sgomberando la gente, preparando il sito, cominciando a costruire a tutti gli effetti. Tanto sapeva che l’autorizzazione sarebbe arrivata.
Dal canto loro la maggior parte dei comitati invitava massicciamente a intervenire sull’inchiesta per opporsi alla centrale, ma è stata una lotta di un momento specifico, un momento fra tanti. I comitati antinucleari e i gruppi di opposizione in quel periodo erano già sviluppati, ma credevano ancora che si potessero fermare i lavori democraticamente e hanno fatto tutto il possibile, nei limiti della democrazia, per opporsi. È stato fatto anche un referendum… è stato fatto tutto quello che la democrazia ti consente di fare: puoi uscire per strada, firmare, unirti ad altri e poi andare dal governo e da EDF a mostrare le firme dicendo: “guardate, siamo in molti ad opporci”. Ma sappiamo come funziona. Questa è la speranza illusoria che dà la democrazia, non per niente queste pratiche erano molto seguite da gente che poi ritroveremo in carriera politica: si conserva la speranza che in questo modo si può vincere, e ci si rifiuta di vedere che anche se siamo la maggioranza è lo Stato alla fine che decide, e se ne fotte della vita della gente. Le lotte in questo periodo erano queste, opporsi all’inchiesta, far firmare a migliaia di persone petizioni contro la centrale e organizzare incontri, come per esempio le domeniche a Valence d’Agen. C’era anche una roulotte antinucleare, che poi è stata bruciata dai pro-nucleare. Per dirti che ci sono stati molti tipi di azioni, più o meno nei limiti della legalità. Potevi dire: “sono contro”! Beh, bene…
Ma questo, secondo me, fa parte del gioco. Comunque, c’era anche gente che se ne fregava dell’inchiesta, consapevole del fatto che alla fine è lo Stato che decide. Io e altri compagni libertari non ce ne occupavamo più di tanto. Ci fosse stata una possibilità che servisse a qualcosa, ce ne saremmo resi conto. Ma parallelamente succedevano anche molte altre cose. Al di là della lotta di Golfech c’erano persone indipendenti che da sempre facevano un po’ dappertutto sabotaggi contro il nucleare. Dopo Malville c’è stata una crescita esponenziale di questo tipo di azioni, come bruciare le macchine di EDF, spaccargli le vetrine dei locali… e poi la gente incominciò, a un certo punto, a far saltare con l’esplosivo i tralicci dell’elettricità, i locali di EDF, a colpire quindi EDF soprattutto, ma anche qualche piccola ditta che lavorava per il nucleare. Tutto questo è la conseguenza della manifestazione di Malville, della riflessione dopo Malville. Nasce una sensibilità antinucleare che inizia a chiedersi: perché non usare altri mezzi per attaccare il nucleare? 

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Note
1: Èlectricité de France, l’equivalente dell’ENEL in Italia.
2: Valéry Giscard d’Estaing, liberale, è stato presidente della Repubblica francese dal 27 maggio 1974 al 21 maggio 1981. 
3: Abbiamo preferito non tradurre questa parola perché non abbiamo trovato un termine italiano con la stessa accezione. Termine gergale, indica genericamente un gruppo di persone che si riconoscono in una pratica o in una prospettiva di lotta comune.

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